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Giovanni Cogliandro, La dottrina morale superiore di J.G. Fichte.L'Etica 1812 e le ultime esposizioni della dottrina della scienza.
Guerini e Associati, 2005

di Federico Ferraguto

Il libro di Giovanni Cogliandro riflette il grado di avanzamento della ricerca italiana su Fichte e il ruolo che quest’ultima svolge nella comprensione e nella codificazione dei problemi connessi alla visione trascendentale fichtiana.
Nondimeno, il testo si presenta come un chiaro esempio dell’affermarsi della tradizione interpretativa legata alle modulazioni della comprensione della dottrina della scienza che avviene fra Roma e Napoli e che vede in Olivetti e in Ivaldo, non senza discontinuità, i suoi principali esponenti. Questa tradizione interpretativa tende a leggere Fichte alla luce della centralità della nozione di Aufforderung (invito/sollecitazione/appello), intesa sia nella sua funzione epistemologico-speculativa, sia nella sua funzione strutturante il vincolo comunitario-interpersonale.
L’impressionante quantità di riferimenti storico-filosofici presente nel testo rivela, poi, un’autentica lettura “prospettivista” della dottrina della scienza, così come nei migliori auspici della “scuola di Monaco”.
Fra le molteplici prospettive di lettura adotterei quella dello studioso fichtiano che vede nel libro di Cogliandro uno strumento per approfondire e rettificare il proprio percorso interpretativo. Pertanto vorrei compiere alcune considerazioni su due elementi che costituiscono il filo rosso speculativo della lettura che Cogliandro offre della Sittenlehre 1812: il problema della Aufforderung dell’assoluto al Wissenschaftslehrer e quello, connesso, della introduzione o elevazione al punto di vista trascendentale.

La tesi di Cogliandro, secondo cui «l’insieme degli schemi della manifestazione dell’assoluto costituisce l’invito che l’assoluto rivolge al soggetto» (97), nasce da una interpolazione del plesso di Wissenschaftslehre nova methodo (1796-99) con quello di Wissenschaftslehre 1812, sulla base della continuità delle esposizioni della dottrina della scienza.
Questo schema consente all’autore di padroneggiare l’intero sviluppo trascendentale della WL e di esprimere il punto di unità fra i vari piani in cui si scandisce e articola la visione trascendentale fichtiana: filosofia prima, filosofia speciale, filosofia popolare, scritti introduttivi.
A mio avviso, tuttavia, questa asserzione di Cogliandro necessita di una critica, ovvero di una legittimazione ulteriore che si ponga al livello della chiarificazione delle condizioni di possibilità del sapere e della sua esposizione, o presentazione, concreta (Darstellung). Quando ciò non avvenisse, infatti, l’affermazione di una Aufforderung dell’assoluto al Wissenschaftslehrer rischierebbe di non oltrepassare quel carattere “orizzontale” della WL nova methodo in cui Lauth ha inteso vedere un fraintendimento della Direzione essenziale della ricerca su Fichte, e quindi una direzione che non mira alla enucleazione di una Wissenschaftslehre prima methodo fondata sulla comprensione dell’agire come assoluto.
Ora, a mio avviso non è possibile applicare in modo diretto e immediato la struttura della Aufforderung, così come viene concepita nella tarda fase jenese della dottrina della scienza, al plesso di Wissenschaftslehre 1812. Questo perché il nucleo del processo di approfondimento della dottrina della scienza nella fase tardo berlinese (1810-1814) tende a radicalizzare la separazione fra assoluto e manifestazione e a vedere in quest’ultima (cioè nella manifestazione) il punto fondamentale a partire dal quale la dinamica “invitante” che presiede alla formazione del sapere può essere concretamente posta, attuata, pensata e compresa. Non è dunque un’Aufforderung dell’assoluto, ma un’Aufforderung dal sapere e nel sapere, ad innescare quel processo di autosottrazione autocosciente della manifestazione che lascia emergere l’assoluto come essere chiuso in sé (in sich geschlossenen Singulum, direbbe il Fichte di WL/04), e nondimeno come vita eternamente in atto.
Questo aspetto risulta chiaro se si tiene conto degli spostamenti semantici che la nozione di Aufforderung subisce fra Jena e Berlino. Nella fase tardo berlinese la semantica dell’Aufforderung è limitata alla dinamica di acquisizione di quel punto di vista trascendentale provvisorio che consente la descrizione fattuale-fenomenologica dei fatti della coscienza (come introduzione alla filosofia) oppure a caratterizzare l’interazione fra Wissenschaftslehrer e Lehrling che Fichte presenta nelle lezioni introduttive ad ogni esposizione della dottrina della scienza, soprattutto negli ultimi anni. La funzione strutturante propria della Aufforderung viene invece trasferita alla nozione di compito (Aufgabe), funzionale alla enucleazione della costituzione logologica (trascendentale ed ontologica ad un tempo) della Erscheinung e dei suoi nessi interni. Il compito è inteso, ad esempio, nel Neues Diarium (UI, 204), che Fichte tiene fra l’ottobre 1813 e il gennaio 1814, non come posto al sapere dall’esterno ma come una Re-perkussion, come un ri-percuotersi del sapere, della manifestazione dell’assoluto, in se stesso. In questo profilo, poiché nel piano di immanenza della Erscheinung, questa non è lineare, ma attività che ritorna in se stessa (che si ri-percuote, appunto), credo sia possibile rintracciare già in Fichte gli elementi propri di una dottrina della scienza prima methodo capace di integrare, in virtù di nessi autenticamente trascendentali, quel “tendere all’azione”, quella duplicità originaria fra io e non-io che era propria della dimensione nova methodo della Wissenschaftslehre.
In questo senso le nozioni chiave della prima parte dell’Etica del 1812: IchForm, Bewusstseinsform e Begriff,  possono essere intese – prima ancora che come nozioni “incarnate” – come elementi funzionali che attestano quei nessi logologici di ordine superiore secondo cui la concretizzazione dell’io, e del suo agire nella storia, possono essere legittimati e dedotti.
Con ciò non voglio contrappormi alle tesi di Cogliandro. Semmai vorrei indicare quanto vi è di più fecondo in esse – e segnatamente l’affermazione della centralità della nozione di “invito” anche nella fase tardo berlinese – e indicare una via per una loro ulteriore radicalizzazione trascendentale.

Il problema dell’introduzione alla dottrina della scienza è evidentemente connesso con quanto detto finora.
Se si tiene fermo che la dimensione praticoteoretica del compito ha una valenza solo al livello della manifestazione dell’assoluto, e quindi del fatto dell’apparire dell’assoluto (come appare chiaro anche da WL/II-04), il problema della discontinuità – dello iato – fra assoluto e manifestazione va a toccare solo il noi della dottrina della scienza, quel noi che costruisce la dottrina della scienza diventando quest’ultima.
Questo è il cuore del problema dell’elevazione alla dottrina della scienza o del passaggio dal punto di vista comune a quello trascendentale oppure, ancora, della discussione (peraltro molto attuale) sul significato sistematico dei prolegomeni alla Wissenschaftslehre.
Da questa prospettiva credo sia possibile sostenere che tali questioni esulano dall’ambito puramente propedeutico per incorporarsi nel processo di (auto)legittimazione della propria infinita fattualità che la Wissenschaftslehre compie di se stessa. Questo asserto implica due ulteriori considerazioni:

  1. Che l’aspetto paradossale dell’introduzione alla dottrina della scienza è solo apparente. L’introduzione deve essere appunto infinita ed essere dedotta – Fichte forse direbbe eingesehen, colta – come tale. Questo giustifica anche l’affermazione fichtiana della infinità delle esposizioni della dottrina della scienza, dei suoi linguaggi e dei modi per accedere ad essa. Proprio questo aspetto della relazione fra introduzione e dottrina della scienza apre all’inclusione del “fattore morale” nella elevazione al punto di vista trascendentale e pone le basi per la dimensione “incarnata” e “graduale” (con Lauth: doxica) dell’elevazione al punto di vista trascendentale medesimo, opposta al dominio e possesso (Besitz) immediato della Wissenschaftslehre.
  2. Che tale gradualità è connessa proprio a quel carattere di consapevolezza del fatto della dottrina morale – che il concetto sia causa del mondo – che vede nella pedagogia, nell’insegnamento e nella propedeutica le forme più alte dell’agire umano.

Non mi limiterei dunque ad affermare – come Cogliandro, pur non tematizzando direttamente la questione, fa a più riprese – una radicale separazione fra introduzione alla dottrina della scienza, dottrina della scienza e filosofia speciale. Questi momenti vanno pensati secondo nessi di reciproca funzionalità (il punto di vista in cui si colloca l’esposizione dei fatti della coscienza del 1813 mi sembra un esempio paradigmatico di questa affermazione).
È proprio questa reciproca funzionalità, nella misura in cui rimanda a quel carattere di consapevolezza cui accennavo più sopra, a ricondurre noi, interpreti di Fichte, alla vita e a sollecitarci ad una riflessione concreta sulla filosofia e sulla sua autocollocazione nel corso del mondo. Solo in questo nostro esercizio – concreto e consapevole ad un tempo – noi possiamo essere e vivere la dottrina della scienza.

PUBBLICATO IL : 01-05-2006
@ SCRIVI A Federico Ferraguto
 

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