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Elettra Stimilli, Jacob Taubes. Sovranità e tempo messianico.
Morcelliana, 2004

di Dario Gentili

Rabbino, filosofo, teologo, esegeta: Jacob Taubes (1923-1987) è una delle figure più complesse e controverse del Novecento. Eppure, nonostante la sua travagliata esistenza abbia attraversato i centri nevralgici del secolo, avendo vissuto e insegnato in Svizzera, a New York, a Gerusalemme e in Germania, soltanto negli ultimi anni la sua opera sta suscitando un adeguato interesse a livello internazionale; dopo aver curato la pubblicazione in italiano di buona parte dei suoi scritti più importanti, quando ormai l’opera taubesiana ha assunto una sua precisa fisionomia, Elettra Stimilli ha pubblicato la prima biografia intellettuale di Taubes. A proposito di Taubes, tuttavia, una biografia non può non assumere la forma saggistica come, del resto, un saggio non può non assumere una forma biografica: vita e pensiero tendono a confondersi in una medesima, tragica inquietudine.

Le questioni fondamentali del suo pensiero hanno preso vita nei turbolenti e problematici rapporti personali che ha intessuto; due sono particolarmente esemplari per rendere il costante campo di tensione in cui ha inscritto la propria esistenza: con il giurista tedesco dai trascorsi nazisti Carl Schmitt, che Taubes, consapevole di pensare dopo Auschwitz, ha eletto a “nemico” degno di un confronto necessario, e con lo storico di mistica ebraica Gershom Scholem, il “maestro” nei confronti del quale Taubes ha sempre misurato l’originalità della sua interpretazione delle categorie fondamentali dell’ebraismo. Se intorno ai nomi di Schmitt e Scholem si cristallizza l’intreccio di vita e pensiero tipico di Taubes, tuttavia vi confluiscono in modo determinante anche i nomi di Martin Heidegger, Paolo di Tarso e Walter Benjamin per focalizzare ulteriormente i filoni di pensiero che Taubes pone radicalmente in discussione e che Stimilli mette a tema, con una mozione d’ordine necessaria per un pensatore così sfuggente, nel sottotitolo del libro, Sovranità e tempo messianico: la teologia politica e la filosofia della storia. Taubes è un pensatore del dopo: non solo dopo Auschwitz, ma anche dopo la crisi di legittimazione dei regimi politici, a proposito della teologia politica, e dopo la crisi della hegeliana Ragione universale del processo storico, a proposito della filosofia della storia. Pensare dopo, allora, significa pensare l’eccezione in quanto “regola effettiva” di ogni ordine politico e, utilizzando il titolo di un libro del 2000 di Giorgio Agamben, pensare il tempo che resta dopo la “fine della storia”. La torsione interna che Taubes impone alla teologia politica e alla filosofia della storia, il loro rovesciamento prospettico, per Stimilli consiste in un gesto di “liquidazione”, non nel senso di un loro superamento senza resti, per poter magari porre presupposti nuovi e diversi, piuttosto teologia politica e filosofia della storia sono liquidate in quanto definitivamente compiute: non esaurite per difetto di pregnanza rispetto alla situazione storico-politica del dopo, ma esaurite “per eccesso”, in quanto il dopo non è più né assorbibile al loro interno né è pensabile autonomamente dal loro compimento, sul dopo non può essere fondato nessun “nuovo inizio” alla Heidegger.

Per Taubes, teologia politica e filosofia della storia sono compiute dal messianesimo. “Compimento messianico” non significa individuare il quando della fine, ma svincolare la fine da ogni pretesa di compimento, la fine resta dopo il compimento: la “fine della storia” si converte in “storia della fine”. “Il tempo volge al termine” non perché si approssima la sua conclusione apocalittica; piuttosto, ogni costruzione umana è segnata dal non potersi legittimare in altro che sulla sua finitezza e contingenza. Dunque, contro la teologia politica di Schmitt, nessun fondamento teologico garantisce al sovrano la legittimazione del suo potere politico, la “separazione” tra teologia e politica è definitiva: nessun ordinamento giuridico può esaurire l’eccezione nella norma perché, con Paolo di Tarso, il Messia soltanto può “compiere la Legge”. In tempi come i nostri in cui i linguaggi della politica e della religione tendono a confondersi ancora, nella sua radicalità, la riflessione di Taubes esclude ogni incandescente ambiguità: teologia e politica sono unite solo in una teocrazia, in cui unico e assoluto sovrano è il Messia e nessun uomo può farsene rappresentante; nessun uomo può autolegittimarsi a dominare sull’altro: è l’unico resto del Regno di Dio in questo mondo.

PUBBLICATO IL : 07-04-2005
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