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Graziella Morselli, Nel corpo è l’origine. Studio sui vissuti femminili della procreazione.
Armando editore, 2009

di Caterina Botti

La riflessione filosofica sulla procreazione e sulla gravidanza come si sa è sempre stata scarsa. Come ci insegna il pensiero femminista questo silenzio non è casuale: la rimozione dell’origine materna, della donna che sta dietro ad ogni nascita, è una delle caratteristiche più evidenti se non fondamentali della cultura patriarcale, in cui nonostante tutto siamo ancora immerse; e la filosofia non fa eccezione, anzi – nella buona sostanza – sistematizza questo senso comune retrivo (Cfr. L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano, 1975, L. Muraro, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma, 2006; ma anche A. Rich, Nato di donna, Garzanti, Milano, 2000. Sulla filosofia: C. Lonzi, Sputiamo su Hegel e altri scritti, Rivolta femminile, Milano, 1974).
Neppure la nascita e lo sviluppo della riflessione bioetica, che pure sull’inizio della vita e le questioni morali che le attengono si è interrogata spesso, è riuscita a rompere questo silenzio: nella buona sostanza essa ha continuato a costruire i ragionamenti sul mettere al mondo sulla base della visione astratta e disincarnata dell’individuo che caratterizza la riflessione morale più diffusa, riducendo la riflessione sulle scelte o i dilemmi morali che caratterizzano la gravidanza all’equilibrio da trovare nella contrapposizione di due individui con interessi e diritti distinti (Mi permetto di rimandare su questo a C. Botti, Madri cattive, Il saggiatore, Milano, 2007).
In questo contesto il libro di Graziella Morselli è una notevole ed interessante eccezione, poiché tenta di sviluppare una riflessione filosofica sulla procreazione e la gravidanza, fornendo materiale di riflessione utile anche a chi voglia sviluppare considerazioni etiche su questa esperienza.
Al di là di un inizio politico, che pure va sottolineato, il volume sviluppa infatti, attraverso un uso sapiente degli strumenti offerti dalla tradizione fenomenologica, una ricostruzione dei processi intimi della coscienza femminile in relazione alla maternità.
Sull’inizio politico, che pure mi pare elemento da non sottovalutare, voglio solo dire che giustamente, a mio avviso, Morselli apre il suo libro con l’analisi e la denuncia di quanto, nonostante una serie di sviluppi positivi, le donne ancora subiscano in termini di violenza, oppressione e discriminazione, perfino nelle nostre democrazie quasi compiute, ma anche che altrettanto giustamente ella articola subito questa denuncia - sulla scorta del più recente pensiero filosofico femminista - non come una questione cui si risponde sul piano sociale, economico o psicologico, quanto su quello della elaborazione di pensiero, una elaborazione volta soprattutto a rendere agibile la  rappresentazione “dall’interno” della  soggettività femminile.
Necessaria in questo senso è, a suo avviso, un’analisi del vissuto femminile di procreazione.
Morselli declina infatti la questione della ricerca sui “modi di formazione dell’identità del soggetto femminile” (p 10), cioè dell’elaborazione condivisa di una descrizione dall’interno della soggettività femminile, per l’appunto a partire dalla diversità di vissuto che caratterizza il diverso contributo maschile e femminile alla riproduzione, dovuta alla diversità dei corpi maschili e femminili.
Tornerò in chiusura su alcune problematizzazioni che si possono fare su questo punto di partenza (ovverosia sui rischi dello stabilire un nesso forte tra soggettività femminile e procreazione), prima vediamo però come articola Morselli la sua interessante ricostruzione dall’interno del vissuto femminile della procreazione.
Questa ricostruzione è particolarmente interessante, non solo perché come si diceva più sopra riempie un vuoto filosofico, oltre a contribuire alla libertà femminile, ma anche perché apre a una diversa rappresentazione dell’umanità e della moralità.
Il testo si apre dunque con la constatazione che della procreazione e del ruolo delle donne in essa, noi abbiamo solo descrizioni esterne (scientifiche, mediche, psicologiche) e che manca totalmente il punto di vista in prima persona, una prospettiva interna. Le donne, le loro esperienze sono state escluse come base di conoscenza, questo a tutto detrimento delle donne medesime e della loro libertà, ma anche della stessa conoscenza.
L’idea di Morselli non é però né quella di riproporre la superiorità di presunti saperi femminili-matriarcali, né di opporre banali rivendicazioni “rimanendo alla superficie della diversità tra uomo e donna” (p. 18), ma neanche – mi pare di capire – dare voce sic et simpliciter ai vissuti di donne concrete, quanto quella di ricostruire, attraverso gli strumenti offerti dalla fenomenologia e da quella che l’autrice definisce l’analisi psicologia “pura” (in alternativa a quella empirico-sperimentale e quella del profondo, come dice a p. 24), un modello di vissuto femminile della procreazione .
Un modello astratto, che - pur debitore del tempo e dello spazio in cui è definito - possa dar conto di quanto i vissuti femminili individuali possono avere in comune.
L’idea è quella di individuare le tendenze psico-corporee che lo svolgersi della gravidanza attiva nelle donne, cercandone le tracce che si ripetono nelle esperienze femminili, come strato percettivo comune, a prescindere dalle particolarità dovute alle differenze individuali.
Visto dall’interno in questo modo, il percorso di gravidanza viene caratterizzato in una serie di momenti distinti che segnano lo sviluppo della coscienza femminile, che fanno seguito al momento iniziale in cui si accoglie o si rifiuta  l’evento del concepimento.
Il percorso si configura in un primo momento come quello della trasformazione dell’elemento estraneo in elemento proprio e poi, in seguito, nei diversi gradi di sviluppo della consapevolezza della presenza del corpo del figlio/a nel proprio, accompagnata da una crescente cura e attenzione verso questo altro che nascerà. I momenti successivi sono distinti nei termini prima della latenza, poi della localizzazione (tattile) delle sensazioni della madre, confermate infine anche dall’esterno, fino alla  pienezza sensitiva e riflessiva di quello che io definirei il due-in-una, cioè appunto la coscienza della presenza di un altro compenetrato nel proprio corpo.
La caratteristica propria di questa esperienza vista dall’interno è quindi l’appaiamento di un “corpo generante” e di una “mente generativa”, cioè che si apre all’altro e ad esso apre il mondo.
Morselli sottolinea infine – ed è rilevante – come nulla di tutto ciò possa essere considerato la mera ripetizione della funzione biologica o animale del riprodursi cui spesso la tradizione filosofica ha ridotto la maternità. Si tratta di un vissuto intenzionale, che ha le sue tappe e un suo sviluppo che può – è bene sottolinearlo – avere anche esiti e forme diverse, ma che non si può certo ridurre a inintenzionalità.
L’intenzionalità materna, intesa come ciò che caratterizza l’unione di corpo e psiche della donna che affronta la maternità, è piuttosto da intendersi invece come ciò che caratterizza la nascita umana e quindi l’umanità. La sottolineatura della radice corporea, carnale, di questa intenzionalità, della maternità e quindi dell’umanità è un altro cruciale punto di arrivo del testo.
Al di là delle analisi e dei riferimenti alla tradizione fenomenologica che Morselli offre, io credo che in questa affermazione, che si pone fortemente in contrapposizione con quella di quanti hanno messo al centro della prospettiva del nascere e della considerazione dell’umanità, chi nasce e non chi mette al mondo (e gli esempi filosofici non sono pochi), sia i fulcro di questo interessante volume.
“La nascita rivela il suo autentico senso non tanto a posteriori a chi è nato, e senza averne potuto partecipare che inconsapevolmente, quanto a priori alla madre che la realizza tramite il proprio corpo, registrando gradatamente nella propria esperienza sensibile una “trasposizione appercettiva” a partire da sé, dalla sua unità di corpo e psiche: una trasposizione del corpo del nascituro verso la realtà concreta dell’Altro”(p. 58).
Ovviamente se così pensiamo la nascita – come il mettere più che il venire al mondo –  così possiamo pensare l’umanità come relazione e dipendenza e non solo autonomia e autofondazione e questo ci porterà inevitabilmente a ripensare la moralità non solo nel momento della gravidanza ma anche in generale, come hanno fatto anche ormai molte autrici femministe.
Anche se su quest’ultimo aspetto l’autrice non si dilunga mi pare che così possano essere lette le righe conclusive del testo: “Queste pagine, in definitiva, sono state scritte nell’intento di dare un contributo a quella che potrà essere in futuro una diversa configurazione dei legami umani, quando potranno essere visti nell’ottica dell’intenzionalità procreativa che ha al suo centro la connessione di corpi gestanti e menti generative”(p. 75).
La specificità di questo volume, al di là del senso complessivo e del suo significato non solo teorico ma anche politico (per le donne), sta ovviamente nell’uso che l’autrice fa della tradizione fenomenologica. Su questo però chi scrive non si sente particolarmente autorizzata a fare commenti, se non per sottolineare l’interessante e per quel che sembra inedita piegatura che l’autrice dà a questa scuola di pensiero. Per offrire delle  considerazioni conclusive e alcuni spunti critici, rimarrei dunque su alcuni  temi  più generali. Pur condividendo e apprezzando, come penso di aver già  mostrato, non solo l’intento politico, ma anche la ricerca teorica che muove questo volume, vorrei offrire due problematizzazioni.
La prima è che pur condividendo l’importanza di ricostruire un punto di vista femminile sulla gravidanza e la maternità, anche per derivarne riflessioni sull’intera umanità o sulla moralità in generale, penso si debba stare attente a non rinforzare il nesso donna/madre, chiudendo la soggettività femminile sul vissuto della gravidanza o della procreazione. Come dicono Rich e Muraro (Cfr. L. Muraro, op.cit. e A. Rich, Nato di donna, Garzanti, Milano, 2000), nel loro diverso modo, una cosa è riconoscere che tutte le madri sono donne, un’altra che tutte le donne siano madri. Non che Morselli dica esplicitamente niente di simile, ma forse non sottolinea con sufficiente attenzione la delicatezza di questo passaggio.
Infine ammetto – ma questo deve essere più un problema di scuola filosofica – che nonostante tutto l’interesse che ha suscitato in me la lettura di questo testo e nonostante tutte le potenzialità che vi vedo, rimango un poco dubbiosa sulla possibilità e necessità di delineare un modello astratto così specificato del vissuto di maternità (diviso in tappe e momenti precisi), come quello che propone Morselli, ancorché – come lei sottolinea più volte – esso debba considerarsi ideale e non concreto. E’ forse proprio il rischio di normatività implicito nell’uso dell’ideale che a me fa sollevare il sopracciglio, pur comprendendo e apprezzando il senso di questa sua operazione.
Sono operazioni che pur necessarie rimangono a mio avviso sempre sul filo del rasoio, tra il desiderio di sottolineare il valore e l’unicità dell’esperienza femminile e il rischio di chiuderla in descrizioni che ne limitano le potenzialità.

PUBBLICATO IL : 23-01-2010
@ SCRIVI A Caterina Botti
 

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