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Jean-François Lyotard, Discorso, figura.
Mimesis, 2008

di Dario Cecchi

La casa editrice Mimesis prosegue nel suo programma di traduzione delle opere di alcuni dei più importanti pensatori di lingua francese, che appartengono al mare magnum di quella che è chiamata “filosofia continentale”. In questo caso ci troviamo di fronte ad una nuova edizione dell’“opera prima” di uno degli autori che ha determinato uno degli orientamenti più fortunati all’interno di questo mare magnum: Lyotard è infatti il filosofo che ha coniato il fortunato termine “postmoderno”, che ha segnato le sorti di una parte non trascurabile della “filosofia continentale”, segnatamente di tutti quei pensatori che si sforzano ancora di pensare la filosofia come riflessione sullo “spirito del tempo”.
Queste considerazioni sono tanto più vere per il pensatore che, con il suo La condizione postmoderna, ha messo in discussione proprio la possibilità che “grandi narrazioni” (filosofiche, scientifiche o di altro genere) fossero effettivamente capaci di restituirci il “tempo appreso in concetti”. La pubblicazione della traduzione italiana di Discours, figure (a cura di Francesca Mazzini, con una bella Introduzione di Elio Franzini che ripercorre la storia del testo), ci offre un accesso privilegiato al laboratorio di pensiero di Lyotard. Franzini ci ricorda che prima di questo libro, uscito nel 1971, Lyotard aveva pubblicato solamente un breve testo sulla fenomenologia (anche questo tradotto recentemente da Mimesis): si tratta perciò di un testo che ci permette di comprendere le radici della successiva riflessione di Lyotard.
Ci troviamo infatti di fronte a parte della tesi di dottorato di Lyotard, discussa con due mostri sacri della fenomenologia francese come Dufrenne e Ricoeur. Il testo si presenta perciò come un vero e proprio tour de force attraverso alcune delle voci più autorevoli del novecento: Merleau-Ponty, Jacobson e Freud, per citare solo i nomi più notevoli. Come indicato già nel titolo, il libro è teso a comprendere le complesse relazioni che intercorrono tra le figure, che ricadono nell’ambito del visivo, ed il discorso, che ha un rilievo prettamente linguistico.
Si tratta di un problema ancora attualissimo e lungi dall’essere risolto, che rischia anzi di essere letteralmente “spazzato via” dal campo della riflessione filosofica dalle scienze cognitive, o almeno dai suoi settori meno accorti, che ritengono di poter spiegare il rapporto tra cervello e mente umana attraverso facili riduzionismi.
Lyotard ci ha educato ad evitare tali riduzionismi, prima ancora che essi sorgessero all’orizzonte: sarebbe il caso di domandarci oggi se anche le scienze cognitive non siano altro che assai persuasive “grandi narrazioni”. Purtroppo nel 1971 Lyotard non era ancora il filosofo del postmoderno: la soluzione prospettata sembra essere perciò quella di rintracciare nell’arte l’occasione per un felice scambio di prospettive tra discorso e figura.
Lyotard sceglie in particolare l’opera di Klee per esemplificare il chiasmo – è il caso di usare questo termine, tipico della riflessione di Merleau-Ponty – che si instaura tra la “concettualità” dei discorsi e la “immaginatività” delle figure. Quasi quaranta anni dopo la pubblicazione di Discours, figure, è interessante vedere che questo libro ha anticipato temi della riflessione estetica, divenuti in seguito passaggi obbligati per la comprensione di un determinato problema: qualcosa del genere è accaduto anche nell’incontro tra la filosofia di Merleau-Ponty e la pittura di Cézanne.

La lettura delle 519 pagine di Discorso, figura lascia inevaso solo un interrogativo. Lyotard propone una soluzione – quella dell’intreccio costitutivo di elemento visivo ed elemento linguistico della nostra comprensione del mondo – che sarà prospettata anche da altri filosofi. Penso in particolare, in Italia, al contributo dato al problema da Emilio Garroni. Se confrontiamo Discorso, figura con l’ultima libro di Garroni, Immagine, linguaggio, figura (2005), non possiamo fare a meno innanzitutto di confrontare due stili di scrittura completamente diversi: ricco di fili conduttori, di materiale filosofico fino all’estremo del barocchismo Lyotard; chiaro, immediato e teso quasi a nascondere le fonti della sua riflessioni (o sarebbe meglio dire la fonte: Kant) Garroni. Sorge il dubbio che, forse, oggi la riflessione filosofica ne guadagnerebbe se i diversi stili filosofici fossero capaci di ibridarsi più di quanto hanno fatto nel passato recente.
PUBBLICATO IL : 25-10-2009
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