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Dario Gentili (a cura di), La crisi del politico. Antologia de “il Centauro”.
Guida, 2007

di Elena Fiorletta
Forma e scissione. Legge e forza. Ordine e potenza. Se comprendere la natura del politico significa assumerne la dimensione irriducibilmente conflittuale, la polarità dei suoi momenti è più di un gioco retorico e va presa sul serio. Non ne è infatti la cifra più significativa, polarità che è anche unità del diverso che costitutivamente lo abita, lo scuote, lo prepara al nuovo? Se l’attuale assetto politico mondiale ha (definitivamente?) congedato il modello classico di sovranità statuale imperniato attorno all’immagine biblica del Leviatano, niente sembra invece poter scalfire la figura mitico-antropomorfica del Centauro, immagine che conserva intatta la carica simbolica iscritta nel suo atto d’origine: ragione e passione, vita e forme, tensione dei contrari. L’uomo-bestia della mitologia classica nulla ha perso della potenzialità ermeneutica che Machiavelli colse e utilizzò per rappresentare la natura “diabolica” del politico e a cui la tradizione politico-filosofica occidentale ha attinto ripetutamente per rappresentarne l’ambivalenza, l’incomponibilità, la discontinuità. Machiavelli sposta il conflitto tra legge e forza all’interno del politico, rinunciando all’armonia garantita dall’ordine del cosmo cara alla tradizione umanistica e inaugurando la modernità politica. Sempre alla duplice natura del Centauro si volge agli inizi degli anni Ottanta un gruppo di intellettuali italiani di diversa formazione che, sulla scorta del dibattito sulla “crisi della modernità”, si mettono alla ricerca di un modo nuovo di declinare le categorie del politico. Di quella esperienza, durata invero solo sei anni, si può rinvenire il segno più o meno profondo nei tanti e diversi percorsi di riflessione seguiti dai suoi protagonisti, dapprima tenuti insieme dall’urgenza di mettere a segno una critica dei limiti di una razionalità politica incapace di cogliere le trasformazioni nella realtà e nel pensiero, quindi condotti ciascuno sulla sua strada proprio dall’apertura dello spazio in cui quella critica trovò dispiegamento. A Dario Gentili e all’editore Guida va il merito di aver “ricomposto” in un volume corposo – una vera e propria antologia – lo scorcio di quella elaborazione collettiva attraverso la ripubblicazione di alcuni tra i contributi più rilevanti di quell’episodio filosofico-politico che si consumò in una fase delicatissima del rapporto tra intellettualità e potere. Un rapporto che proprio in quegli anni mutava di segno e che avrebbe dato il via al declino della figura dell’intellettuale organico prima del suo congedo “a tempo indeterminato” dalla struttura di partito. Sulle premesse storico-culturali di quella congiuntura e sul contesto politico in cui maturò l’esperienza de «il Centauro», molto dice l’intervista del curatore a Biagio de Giovanni, animatore e direttore della rivista che raccolse le voci di intellettuali – oggi anche decisamente distanti tra loro – come Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Roberto Esposito, Bruno Accarino, Remo Bodei, Fabrizio Desideri, Roberto Racinaro, Vincenzo Vitiello, Giuseppe Duso, Salvatore Natoli, Umberto Curi e molti altri. A tenerli insieme era stata piuttosto l’esigenza di aprire nuovi percorsi di ricerca, confrontarsi con autori formatisi ad altre scuole, sviluppare connessioni fino a quel momento considerate estranee alla tradizione storicistica e umanistica attorno a cui si articolava la cultura del Pci. Certo, la crisi era nell’aria. De Giovanni racconta della preoccupazione di Napolitano e Chiaromonte di fronte alla possibilità che “operaisti” e “gramsciani” convergessero nel progetto di una rivista comune, una “spina nel fianco” di un Pci che allora preferì non guardare alle profonde mutazioni morfologiche intervenute tra gli anni Sessanta e Settanta e pensò di poter fare a meno di strumenti culturali adeguati. Di riviste alla fine ne uscirono due: «Laboratorio politico», ispirato all’idea di rielaborare il lessico politico e alla dialettica autonomia-organizzazione, e «il Centauro», rivista di filosofia e teoria politica. La frattura ci fu comunque, anticipata e ampliata dalla chiusura del Pci nei confronti delle nuove scienze sociali che mettevano in discussione l’impianto monocausale nella lettura della modernità. Alla necessità di sottoporre a profonda revisione la natura del “politico”, liberandola dalla rigidità di un nomos ancorato sul soggetto-uomo o soggetto-partito per assumerne la criticità originaria, «il Centauro» rispondeva invece aprendo alle sollecitazioni di altre scuole di pensiero e lasciandosi contaminare dalle riflessioni che in Germania avevano visto all’opera Schmitt, Nietzsche, Heidegger e sulle quali in Francia si misuravano su altri crinali Derrida, Deleuze, Foucault. «Il Centauro» fa suo «lo sforzo di ripensare l’origine e di trovare la scissione all’origine», dice de Giovanni a Gentili a proposito del luogo in cui nasce la crisi nella storia del pensiero politico moderno. E la scissione, «il cortocircuito tra identità e diversità» [p. 425], spiega meglio di ogni sintesi plastica di reminescenza moderna la dimensione del mutamento in corso nella sfera del politico: se il conflitto non è una possibilità eventuale nella traiettoria del politico, ma è iscritto nel suo atto d’origine, le forme sociali – la “vita” – a cui cerca da sempre di dare un ordine, disciplinare, dominare non sono più l’“altro” da ricondurre a sintesi, ma suo elemento costitutivo, eppure irriducibilmente “altro”. Sotto la critica delle firme de «il Centauro» cade la pretesa tutta moderna di un’identità che si costituisca come esclusione; ma a cadere è anche il dualismo immobile della tradizione metafisica. Ne prende il posto la polarità – costitutivamente dinamica – che la rivista assume, dove l’obiettivo è risvegliare la tensione reciproca dei due termini della dicotomia per «mantenerne rigorosamente aperto l’urto», spiega de Giovanni. Soggetti/Forme, Teologia/Politica, Rivoluzione/Tirannide, Ordine/Conflitto, Contraddizione/Differenza, Tempo/Corpo, Tecnica/Mito, Spazio/Politica, Storia/Tradizione, Rappresentazione/Idea sono le coppie concettuali sulle quali si misurano i redattori de «il Centauro», provando a rompere «dall’interno ogni loro presunta ab-solutizzazione in “autonomia”: riattivando, quindi, la conflittualità interna all’unità del diverso del Centauro», precisa Gentili nell’Introduzione. È questo il filo rosso che lega i diversi articoli, scelti per la capacità di fissare il punto: quello di Esposito, Forma e scissione in Machiavelli, inaugura la rivista, dà ragione del simbolo e ne rivela la portata per la modernità (nella figura del Centauro, «nella differenza assoluta che lo ‘forma’ e quasi lo esclude da se stesso, si comprimono e si solidificano, per il soggetto moderno, i tratti profondi di una intera epoca», p. 68); in ‘Politica’ dopo Cartesio de Giovanni illumina il passaggio del politico dalla mens del sovrano al corpus del mondo («il “politico” moderno è tale perché non parla solo il proprio linguaggio, così come non declina solo la lingua del “sovrano”, ma si connette alla determinazione di un concetto di “vita” che passa attraverso saperi particolari e che rimane come polo costante di una tensione», p. 90); Umberto Curi si confronta con la crisi del marxismo, letta in Genesi e trasformazione delle categorie storico-materialistiche come tentativo (operato da Engels) di dislocare «la crisi al di fuori della teoria, assumendo il problema della modificazione della strategia politica come problema limitato all’applicazione pratica di una teoria di per sé al riparo dalle contingenze storiche, bisognosa soltanto di essere correttamente interpretata per poter rivelare “con precisione” gli “obiettivi finali della lotta”» (pp. 142-43). E questo per citarne solo alcuni, senza tuttavia dimenticare gli interventi di Natoli, Desideri, Accarino, Marramao, Duso, Vitiello, Racinaro e di Cacciari (alle cui “insofferenze”, informa de Giovanni, si deve la chiusura della rivista, che «aveva dato comunque quello che poteva dare», p. 427). A chi invece si chiede cosa possa dare al lettore oggi questa raccolta di saggi, un’indicazione arriva ancora dall’Introduzione di Gentili, che alle coppie concettuali che scandiscono il percorso di ricerca della rivista ne accosta idealmente un’altra, mai tematizzata apertamente, ma sottesa alle altre: non è infatti il binomio Sovranità/Stato «una tensione tutt’altro che spenta, forse ancor più radicale perché estesa ormai a una dimensione globale»? (p. 16). Ed è precisamente il carattere conflittuale della globalizzazione, con il suo attrito continuo tra dimensione globale del mercato e spinta “allergica” del locale, orizzonte problematico con cui ha da misurarsi ogni riflessione attorno alla “natura del politico”, a far sì che la figura doppia del centauro getti un’ombra lunghissima che giunge fino a noi, un’ombra che anzi ci oltrepassa
PUBBLICATO IL : 21-05-2009
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