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Baruch Spinoza (1632-1677)
di Giovanni Licata

Spinoza nasce ad Amsterdam il 24 novembre 1632 da famiglia ebrea di origine portoghese. I suoi avi erano “marrani”: subirono, in quanto ebrei, la conversione forzata al cristianesimo (1497), pur continuando a professare nell’intimo il credo ebraico. Michael de Spinoza, il padre di “Bento” – questo è il nome con cui era chiamato in famiglia; Baruch, invece, era il nome ebraico; Benedictus, la traduzione latina – si trasferisce verosimilmente ad Amsterdam intorno al 1622-3. Egli, mercante di frutta esotica, era probabilmente attirato dallo splendore della città più ricca del XVII sec., nella quale si stava costituendo una fiorente comunità ebraica, a maggioranza sefardita, ben integrata con la popolazione locale.
Nel 1639, Bento si iscrive nella scuola Talmud Torah (“studio della Legge”). La comunità sefardita, assicurava un’educazione elementare gratuita a tutti i bambini dai sette ai quattordici anni, fornendo le basi religiose, culturali e letterarie che ogni buon ebreo doveva possedere. Secondo le testimonianze dell’epoca vi si studiava la lingua ebraica e le preghiere, si imparava a memoria la Bibbia in ebraico e la si traduceva nella lingua colta della comunità, lo spagnolo (la lingua colloquiale era, invece, il portoghese). Successivamente, chi continuava gli studi nelle classi superiori era destinato probabilmente a intraprendere la carriera rabbinica. Qui ci si dedicava allo studio del Talmud, sia della Mishnà che della Ghemarà, e ai commenti del Talmud; si approfondiva la grammatica e forse anche la filosofia ebraica. Al tempo di Spinoza vi insegnavano il sapiente Menasseh ben Israel e il rabbino capo Saul Levi Mortera. Tuttavia, da ricerche d’archivio, risulta che Spinoza ha smesso di frequentare la scuola ebraica al termine della formazione elementare, o poco dopo: a differenza di quello che per molto tempo si è creduto, Spinoza non era destinato a diventare rabbino. È probabile che il padre lo costrinse a interrompere gli studi, subito dopo le elementari – cioè tra il 1646 e il 1649 - per avere aiuto dal figlio nella sua attività commerciale. Nella comunità sefardita, tuttavia, l’attività di mercante –   professione che Spinoza certamente intraprese prima assieme al padre e, in seguito alla sua morte nel 1654, per proprio conto assieme al fratello Gabriel – non era incompatibile con l’approfondimento dei propri studi: per la religione ebraica la convivenza dell’attività intellettuale con quella manuale era addirittura una mitzvàh, un precetto. Per facilitare il rispetto di questo precetto venivano organizzate diverse yeshivòt, dei gruppi di studio che si concentravano sull’approfondimento degli studi religiosi e letterari. Spinoza, forse, ha frequentato la yeshivà diretta proprio da Rabbi Mortera, che si chiamava Keter Torah, dove di studiava letteratura (Talmud e commenti rabbinici alla Toràh) e filosofia ebraica (Maimonide, Saadya Gaon e Gersonide). Si riabiliterebbe così la possibilità che Mortera sia stato maestro di Spinoza, rendendo verosimile il racconto del primo biografo, Lucas, secondo cui il rabbino capo rimase sconvolto dall’allontanamento di un allievo promettente come Spinoza dalla religione ebraica. In ogni caso la frequentazione della yeshivà, che consisteva in un incontro settimanale, non deve far pensare ad un impegno gravoso quanto quello che implicava la frequentazione della scuola rabbinica. Per tale ragione Van Dias e Van der Tak descrivono Spinoza con la felice espressione di “mercante autodidatta”. Il giovane Baruch aveva iniziato, infatti, una strada autonoma, che lo porterà probabilmente ad intraprendere già dal 1654, se non prima, una svolta decisamente laica: l’ampliamento dei propri orizzonti intellettuali attraverso la conoscenza della lingua e della cultura latina presso la scuola privata di Franciscus Van den Enden. Spinoza rimarrà un grande appassionato dei classici della letteratura (Cicerone, Seneca), gli storici (Tacito, Sallustio, Livio) e il teatro (Terenzio). In seguito amplierà la propria cultura – già permeata di pensiero ebraico – anche alla filosofia scolastica e moderna, alla matematica (si pensi agli Elementi di Euclide), alla fisica meccanicistica e alla nuova cosmologia. Descartes – di cui tuttavia non bisogna esagerare l’influenza, come spesso accade con una certa manualistica – resterà un punto di riferimento costante del suo pensiero.
 Dal 1654 al 1656, è probabile che Spinoza abbia conosciuto alla Borsa di Amsterdam quei mercanti che animeranno il circolo che si riunirà attorno alla sua figura, come Jarig Jelles, Pieter Balling e Simon de Vries. Gli amici di Spinoza sono dei cristiani liberali e eterodossi, appartengono a quelle frange di “cristiani senza Chiesa” – secondo il titolo di un prezioso saggio di L. Kolakowski – che si battono, contro il clero clavinista, per uno Stato pienamente repubblicano e simpatizzano per la nuova filosofia cartesiana.
Nel marzo 1656, Spinoza viene denunciato a presentarsi di fronte ai capi della comunità ebraica, probabilmente per due ragioni: da un lato, per le sue opinioni eterodosse (negazione dell’immortalità dell’anima, della legge orale, dell’elezione del popolo ebraico) influenzate probabilmente dall’averroismo sefardita del marrano Uriel da Costa, e dalla frequentazione di un altro marrano, Juan de Prado; dall’altro, per il legame con cristiani eterodossi. Spinoza – a differenza di Juan de Prado che ritratta le proprie tesi – non si presenta nemmeno in sinagoga. Il 27 luglio, così, viene espulso con un feroce bando di scomunica (herem): “[…] Che egli sia maledetto di giorno e sia maledetto di notte, sia maledetto quando si sdraia e sia maledetto quando si alza, maledetto quando esce e maledetto quando rientra. Il Signore non lo risparmierà […] Nessuno comunichi con lui, nemmeno per iscritto, né gli accordi alcun favore, né stia con lui sotto lo stesso tetto, né si avvicini a lui più di quattro cubiti; né legga alcun trattato composto o scritto da lui”.
Dopo l’espulsione dalla sinagoga Spinoza scrive in spagnolo un’Apologia para justificarse de su abdication de la sinagoga. Sebbene non fu stampato né ritrovato, diverse fonti, tra cui Bayle, ce ne confermano l’esistenza. Forse il suo contenuto avrebbe costituito alcune tematiche della prima parte del Tractatus theologico-politicus.
Nel 1657 entra in contatto con esponenti quaccheri e traduce, forse, due pamphlet di Margaret Fell dal nederlandese all’ebraico, che si proponeva la conversione degli ebrei al cristianesimo. Ce ne è rimasto uno solo, Un’amorevole saluto al seme di Abramo, pubblicato recentemente (R. H. Popkin e M. A. Signer, Spinoza’s Earliest Publication?, Van Gorcum, Assen, 1987). Si tratterebbe dell’unico libro di Spinoza scritto interamente in ebraico. Tuttavia, la sua attribuzione rimane dubbia.
Tra la fine del 1656 e il 1659 (in base alla datazione proposta da Filippo Mignini) compone il Tractatus de intellectus emendatione. Si tratta di un trattato sul “metodo”, rimasto incompiuto, con qualche influenza baconiana e cartesiana. Nel 1660-1, lavora al Korthe Verhandeling (Breve trattato), rimasto inedito fino al 1862,  che costituisce il primo abbozzo del suo pensiero, confluito poi nell’Ethica. Nell’estate del 1661 – dal piccolo borgo di Rijnsburg, vicino Leida, dove da poco si era trasferito –  invia ad Oldenburg un piccolo testo dimostrato secondo il metodo geometrico: sono i primi passi verso la composizione dell’Ethica.
Nel 1663 pubblica i Renati Des Cartes Principiorum Philosophiae pars I et II assieme ai Cogitata Metaphysica. È un’esposizione della filosofia di Cartesio redatta more geometrico, cui si aggiungono questioni di filosofia scolastica, criticate dal punto di vista cartesiano. Non è un’opera, quindi, da cui si può evincere il pensiero genuino di Spinoza. Nello stesso anno si trasferisce a Voorburg, piccola cittadina vicino L’Aia.
Nel 1665, in una lettera ad Oldenburg, Spinoza scrive: “Sto componendo un trattato sul mio modo di comprendere la Scrittura. A farlo mi muovono le seguenti ragioni: 1. I pregiudizi dei teologi. So infatti che essi costituiscono il massimo ostacolo che impedisce agli uomini di dedicarsi alla filosofia […] 2. L’opinione che il volgo ha di me, poiché non cessa d’accusarmi d’ateismo […] 3. La libertà di filosofare e di dire ciò che sentiamo, che desidero affermare in ogni modo.” (trad. O. Proietti). Questo “trattato” prenderà il nome di Tractatus theologico-politicus: Spinoza lo pubblica nel 1670, anonimo, senza editore e senza città. L’editore è il suo amico Rieuwertsz di Amsterdam. Scoppiano furiose polemiche e attacchi personali, che sfoceranno nella messa al bando dell’opera da parte delle Corti d’Olanda il 19 luglio 1974.
Tra il 1670 e il 1675 si dedica alla composizione di una grammatica ebraica, il  Compendium grammatices linguae Hebraeae, un’indagine del tutto originale sulle strutture logico-linguistiche dell’ebraico antico, ricostruite e spiegate con l’ausilio della ragione, superando in tal modo il corpus limitato e eterogeneo dell’ebraico dell’Antico Testamento. L’opera si prefigge una cognitio universalis della lingua ebraica, punto di partenza imprescindibile per una comprensione laica e scientifica del testo biblico. Il Compendium, purtroppo incompiuto, doveva forse fare il paio con la traduzione in olandese del Pentateuco, che – secondo la biografia di Colerus – diede alle fiamme prima di morire.
Nel 1675, dopo quattordici anni di lavoro, termina l’Ethica. Nel mese di agosto si reca ad Amsterdam con l’intento di pubblicarla, ma è costretto, per la propria incolumità, ad interrompere il progetto a causa dell’intervento di alcuni teologi che ne denunciano il tentativo ai magistrati. Nel 1676, inizia a comporre il Tractatus politicus, ultima opera, anch’essa incompiuta. A L’Aja, dove si era trasferito dal 1669, muore in serenità il 21 febbraio 1677, arrendendosi alla tisi che lo affliggeva da diversi anni. Dobbiamo lodare lo zelo dei suoi amici, tra cui i fedeli Lodewijk Meyer e Jarig Jelles, se i manoscritti inediti e una parte della corrispondenza siano stati pubblicati da Rieuwertsz – senza editore e luogo di stampa, con le sole iniziali B. d. S. – soltanto dopo nove mesi dalla sua morte. Nell’ordine, il volume in-quarto degli Opera posthuma, che consta di ben 808 pagine, contiene il capolavoro della sua vita, l’Ethica, ma anche il Tractatus politicus, il Tractatus de intellectus emendatione, le Epistolae e, infine, il Compendium grammatices linguae Hebraeae.       
I punti cardine della filosofia spinoziana sono espressi chiaramente nell’Etica. Il Trattato teologico-politico e il Trattato politico sono tuttavia importanti perché approfondiscono, su tutti, il pensiero politico marcatamente democratico; il rapporto fede-ragione; la critica alla religione rivelata e al testo “sacro” che fonda il giudaismo e il cristianesimo, la Bibbia. Spinoza, emancipando la filosofia dall’immaginario mitico-religioso, segna forse più che Cartesio – come comprenderà Hegel – una svolta all’interno del pensiero occidentale. Con coerenza e senza ambiguità, costruisce un sistema radicalmente alternativo alle tradizioni religiose monoteistiche e alle filosofie che, a partire dai Padri della Chiesa fino a Descartes, hanno cercato di giustificare o di armonizzare la rivelazione cristiana con la ragione. Nell’Ethica propone, infatti, un concetto di “Dio” inteso come assoluto, immanente all’universo e alle leggi necessarie e eterne che lo costituiscono (Deus sive Natura: le due realtà, non sono separate, ma si identificano); un Dio, perciò, che non ha nulla in comune con il Dio personale e antropomorfo che crea il mondo a vantaggio dell’uomo e dei suoi bisogni o che ha il potere di modificare “dal di fuori” la concatenazione necessaria delle cause con eventi “miracolosi”. In campo psicologico, inoltre, Spinoza nega l’immortalità individuale dell’anima, pur riconoscendo l’eternità della mente. Secondo la sua antropologia, decisamente anti-antropocentrica, l’uomo non ha alcun ruolo privilegiato nell’universo infinito, è una piccola parte del tutto, il tutto essendo assolutamente indifferente ai fini e ai desideri umani. La sua etica, più che un compendio di doveri, vuole essere, come nelle filosofie ellenistiche, una guida al raggiungimento razionale del proprio utile, ovvero della felicità terrena e della tranquillità dell’animo. La suprema felicità o beatitudine dell’essere umano, nonché la conquista della libertà (intesa come autonomia rispetto alla forza condizionante degli eventi esterni), consiste nel raggiungimento del terzo genere di conoscenza, ovvero nella consapevolezza dell’unione tra uomo e Dio, in quanto l’individuo umano, come ogni altra cosa, altro non è che un’infima parte dell’infinita potenza di Dio o della Natura.

 

Bibliografia primaria

- Benedictus de Spinoza, Opera posthuma, Amsterdam, 1677 [Riproduzione fotografica integrale a cura e con prefazione di Filippo Mignini e nota introduttiva di Pina Totaro, Quodlibet, Macerata 2008].

- Spinoza, Opera, Im Auftrag der Heidelberger Akademie der Wissenschaften herausgegeben von Carl Gebhardt, Carl Winter, Heidelberg, 1925, voll. I-IV [edizione critica completa di tutte le opere].  

- Spinoza, Œuvres, vol. III, Tractatus theologico-politicus / Traité théologico-politique, téxte établi par F. Akkerman, traduction et notes par J. Lagrée et P.-F. Moreau, Puf, Paris, 1999.  

- Spinoza, Tractatus theologico-politicus/Trattato teologico-politico,a cura di P. Totaro, Bibliopolis, Napoli, 2007.

- Spinoza, Œuvres, vol. V, Tractatus politicus / Traité politique. Texte établi par Omero Proietti, Traduction, présentation, notes, glossaires, index et bibliographie par Charles Ramond, avec une notice de Pierre-François Moreauet des notes de Alexandre Matheron, Presses Universitaires de France, Paris 2005.

- Spinoza, Opere, a cura di F. Mignini e O. Proietti, Mondadori, Milano, 2007 [contiene tutte le traduzioni in italiano delle Opere di Spinoza, tranne il Compendium. Ricco di informazioni bibliografiche e critiche].

- Spinoza, Etica. Dimostrata con metodo geometrico, a cura di E. Giancotti, Editori Riuniti, Roma, 2002.

- Spinoza, Abrégé de grammaire Hébraïque, introduction, traduction française et note Joël Askénazi et Jocelyne Askénazi-Gerson, Vrin, Paris, 1968 (3ème ed. augm., 2006).

 

Bibliografia secondaria ragionata

La bibliografia su Spinoza è imponente. Tuttavia, per un primo approccio critico consigliamo:  F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Editori Laterza, Roma-Bari, 2006 (ed. riveduta); P.-F. Moreau, Spinoza, Editions du Seuil, Paris, 1975 [trad. in italiano col titolo: Spinoza, La ragione pensante. Una guida alla lettura di Pierre-François Moreau, Editori Riuniti, Roma, 1998]. Una buona biografia è quella di S. Nadler, Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento, Einaudi, Torino, 2002. Tra i testi di fondamentale importanza apparsi nel XX sec. ricordiamo: i commentari di M. Gueroult, Spinoza. I. Dieu (Ethique, I), Aubier-Montaigne, Paris, 1968 e Spinoza. II. L’âme (Ethique, II), Aubier-Montaigne, Paris, 1974; le monografie di A. Matheron, Individu et communauté chez Spinoza, Les Editions de Minuit, Paris, 1969 (2ª ed. 1988); G. Deleuze, Spinoza e il problema dell’espressione, Quodlibet, Macerata, 1999; G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, Guerini e Associati, Milano, 1998. Un sito serio e affidabile, dove si può consultare on-line anche il Bulletin de Bibliographie Spinoziste,è quello dell’Association des Amis de Spinoza (www.aspinoza.com).

 

PUBBLICATO IL : 29-01-2009
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