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Prometeo senza Epimeteo
La tecnica tra estetica, filosofia critica e pensiero della differenza
di Dario Cecchi

Bernard Stiegler, filosofo francese, allievo di Derrida, è sicuramente una delle voci più interessanti del panorama intellettuale attuale, anche se solo recentemente sta crescendo la sua notorietà nel nostro paese. Non intendo qui fare un sommario dell'intervista fattagli e che appare qui di seguito; né tantomeno mi accingo ad una "introduzione alla lettura", per la quale ci vorrebbero competenze maggiori e più tempo. Lo stesso discorso vale per l'intervista a Pietro Montani. Mi limito (e mi scuso per la parzialità dell'operazione) a scegliere dei temi dalle due interviste, facendoli lavorare insieme e (peccato più grave) tentando di lanciare una provocazione. Il Festival di Filosofia di Roma della scorsa primavera (ed il concomitante convegno sull'immagine promosso dalla "Sapienza" da Roma Tre in memoria di Emilio Garroni) è stata un'ottima occasione per accostare questo pensatore, uno dei pochi che tenta con coraggio di riflettere su un tema ancora poco "sistematizzato" dalla tradizione filosofica: la tecnica.
Iper-filosofica o al contrario solo marginalmente filosofica, la tecnica è stata via via esito della vicenda dell'essere (Heidegger), strumento nelle mani del capitalismo, del totalitarismo o del totalitarismo latente in ogni macchina burocratica: voci queste ultime che potremmo attribuire ora alla Scuola di Francoforte, ora ad una pensatrice come Hannah Arendt. Quel che è certo è che etica, filosofia politica, metafisica sono parole antichissime; che estetica, filosofia della religione, o del linguaggio sono più recenti, ma hanno statuto e campo d'indagine certi (salvo poi, come nel caso del già citato Garroni, mettere in questione la validità di queste "specializzazioni"). Nonostante la messa in questione di queste sistemazioni, non si può parlare tuttavia di una "filosofia della tecnica" come branca specialistica o evento che informa a sé la riflessione filosofica in modo univoco.
Heidegger aveva nei suoi termini impostato la questione in maniera esemplare: se la tecnica ha a che fare con l'"oblio dell'essere", la questione diventa tutta interna alla filosofia (e in particolare all'ontologia). Rappresenta perciò quel rischio di "iper-filosofia" di cui parlavo. Stiegler non aggira l'impostazione heideggeriana, anzi il confronto con Heidegger è uno dei fili conduttori del suo tour de force attraverso i tre volumi di La technique et le temps, l'opera in cui affronta la questione della tecnica. Heidegger aveva contrassegnato l'avvento della tecnica con l'affermarsi del Ge-Stell, di quell'"impianto", che è la tappa successiva di una vicenda che ha al centro il concetto di Vor-Stellung: quella "rappresentazione", legato alla moderna concezione di scienza. Ecco che, appunto, Bernard Stiegler tematizza fin dal I Volume della Technique, intitolato La faute d'Epiméthée,la differenza che storicamente si da' tra tecnica e scienza, tra techne ed episteme: come emerge chiaramente nell'intervista, il pensiero greco ha, secondo il filosofo francese, distinto tra la condizione puramente contemplativa della scienza e la pratica delle tecniche. È proprio con il venir meno di questa distinzione che si affermano in tutta la loro potenza e pervasività quelle che appunto chiamiamo, senza trattino, "tecnoscienze".
Già con questo breve accenno, quasi solo evocativo, appare chiaro che Stiegler intrattiene "commerci" con l'ontologia, la filosofia politica, l'epistemologia, l'etica, ma tenta di centrare una dimensione precipuamente tecnica del pensiero: tratto che si ritrova soprattutto nel II Volume della Technique (dal titolo La désonrientation), in cui intraprende un complesso confronto con la lezione fenomenologica di Husserl (non dimentichiamo che Stiegler è allievo di Derrida) per arrivare a mostrare il fondamento costitutivamente tecnico del pensiero. Il pensiero umano (la precisazione è importante) si costitusce in questa tensione continua tra prometheia ed epimetheia, cioè tra comprensione (mathesis) anticipata e necessità di riordinare la conoscenza, di essere inevitabilmente "disorientati", in ritardo sempre sulle possibilità aperte dall'azione dell'uomo sulla realtà. L'umanità dell'uomo si costituisce nelle protesi che l'uomo continuamente si da', al tempo stesso l'uomo marca sempre la sua distanza, il non completo riconoscimento in questa o quella protesi, il "differimento" continuo dall'ultima interpretazione possibile [Stiegler1996, p.56]. In questo senso Stiegler conduce nel I Volume un'interpretazione esemplare dell'opera del paletnologo André Leroi-Gourhan, mostrandone l'importanza ed i limiti (dal punto di vista filosofico).
È interessante che l'attenzione per questo studioso è un tratto comune tra Stiegler e quella "scuola" romana di estetica iniziata da Garroni, di cui Pietro Montani ad esempio coglie le sollecitazioni nel senso di un ripensamento del paradigma filosofico di tecnica [Carboni-Montani2005]. A partire da questo dato, che può essere preso solo come punto di partenza, mi sembra interessante provocare la riflessione di Stiegler, tentando d'incrociare i due approcci al pensiero della tecnica. Sia detto di sfuggita che una riflessione filosofica di natura estetica aveva tematizzato forse solo una volta il problema della tecnica: quando Walter Benjamin pone la questione della moderna "riproducibilità tecnica" dell'immagine attraverso i nuovi media del cinema e della fotografia (e oggi delle tecnologie digitali). Stiegler, lo si è detto e lo si può ritrovare nell'intervista, distingue le antiche techne e episteme sulla base del carattere rispettivamente praticoe contemplativodi queste due modalità di sapere. Il che ci rimanda ad una pensatrice che pose al centro del suo confronto critico con la tradizione filosofica questa separazione: Hannah Arendt, che distinse un bios politikos dal bios theoretikos dei filosofi. La distinzione arendtiana è condotta mirando non ai diversi saperi, ma alle diverse forme di vita. Tenterò di mostrare come questa differenza può far segno alla necessità di un passaggio "estetico" del ripensamento filosofico del paradigma di tecnica.
L'opera di Stiegler è complessa e ancora in piena elaborazione. Per questo motivo non dico che sia possibile un bilancio, ma non è neppure possibile condurre una lettura d'insieme, tanto più che commetterei una grave scorrettezza a volerne fare un bilancio, dato che le opere principali di Bernard Stiegler non sono state tradotte in italiano. In quello che pertanto si limita ad essere un invito alla lettura. Evoco il nome di Hannah Arendt, pensatrice della polis per eccellenza, per far apparire, per così dire in controluce, il modo in cui Stiegler pensa l'origine della polis a partire dalle tecniche di scrittura (prese in quanto tecniche). Anche Stiegler, come Arendt, rimanda alla polis come a quell'esperienza fondante il politico in Occidente. Ma, mentre per Arendt, come emerge nei frammenti raccolti in Che cos'è la politica? [Arendt2001, pp. 71-90], la politica è possibile perché è pensabile l'immortalità del bios individuale (athanatizein) grazie al compito narrativo che si da' la polis (e la legge, l'epica o la storia scritta sono dispositivi successivi di regolazione o di memoria), per Stiegler non è possibile politica prima che la scrittura, intesa come tecnica di regstrazione "ortotetica" [Stiegler1996, p. 41], non renda possibile fissare le regole fondamentali della vita in comune [Stiegler1996, p. 53]. Politica e scienza hanno in comune, nella scrittura, il fatto di rendere possibile una struttura del tempo funzionale all'apertura del futuro [Stiegler1996, p. 55]. Sono entrambe figure di questo modo di procedere tecnico del pensiero: se non è theoria (ma qui il pensiero di Stiegler è ambiguo), la politica è techne, saper-fare.
Credo che Bernard Stiegler si sia in questo modo attrezzata a pensare quel modo particolare della tecnica che è l'innovazione: ad esempio (e la considerazione va nel senso appena detto) la sua riflessione spiega perfettamente la diffusione del modello romano di politica, basata sull'acquisizione del diritto e di un modello di civitas; meno quello greco. Il pensatore a suo modo ripete il gesto del maestro Jacques Derrida, quando recupera l'interpretazione heideggeriana del concetto platonico di aletheia come orthotes: se per Heidegger la storia della metafisica (di cui l'orthotes platonico è uno dei tanti momenti inaugurali) è la storia di un essere che incontra infine il suo stesso oblio nella tecnica, Stiegler ribadisce a più riprese che nella tecnica si tratta di registrazione "ortografica" e non "fonografica" [Stiegler1996, p. 56], il dispositivo tecnico non è, cioè, mai semplice copia fedele (artificiale) di un originale (naturale). In Stiegler, azzardo un'ipotesi, il pensiero incontra se stesso come tecnica, ma sempre nella forma di una di una "riattivazione di senso" del reale [Stiegler1996, p. 47].
Tuttavia mi pare che questo modo di pensare la tecnica presupponga la contingenza come realtà entro cui questa "riattivazione" diventa possibile. Ed è proprio alla ricerca della dimensione contingente della politica che Hannah Arendt, ad esempio, incontra uno dei testi fondativi dell'estetica: la Critica della facoltà di giudizio di Kant. Resta cioè aperta la questione, emersa ad esempio durante il Festival di Filosofia tra Bernard Stiegler e Pietro Montani, se il ripensamento dello schematismo che Kant opera nella terza Critica offra o meno uno spunto per pensare questo incontro tra disposizione tecnica del pensiero e carattere contingente del sensibile. Possiamo riformulare questa domanda in termini che in parte riecheggiano le formulazioni arendtiane, in parte na vanno al di là: è possibile una facoltà del pensiero capace di comprendere il bios,intenso come vita che non può rinunciare ad un tratto autonomo e contingente, pena la dequalificazione a forme di vita che non possiamo definire più pienamente umane?
A partire dalla questione della memoria (uno dei maggiori lasciti di Derrida a Stiegler) tenterò di riformulare la mia domanda, mettendola in relazione con la vera e propria domanda filosofica sollevata da uno dei maggiori scrittori di fantascienza degli ultimi decenni: Philip Dick. È possibile che la nascita di un individuo (la "natalità" arendtiana) segni ancora l'inizio di una nuova memoria, di cui non possiamo prevedere gli effetti, nemmeno se sottoponessimo lo sviluppo di questo individuo al più rigido controllo; oppure siamo condannati ad una memoria programmata, o meglio già perfettamente simulata in modo da non lasciare che affiori uno scarto con la realtà, come accade agli androidi immaginati da Philip Dick? Per dirla con lo scrittore: gli androidi sognano pecore elettriche?
Credo che uno dei punti di snodo di una teoria della tecnica sarà, proprio a partire dalla questione della memoria e del potere della memoria, la torsione del concetto di rappresentazione. Da un lato come simulazione,per cui ogni possibilità della tecnica è sempre già presente al pensiero virtualmente (per cui anche il potere politico è sempre programmabile: pensiamo alle rivoluzioni "democratiche" organizzate da esperti negli ultimi anni nei paesi dell'ex blocco sovietico). Quello della simulazione è un rischio (quello dell'onnipotenza della realtà virtuale) cui è ad esempio del tutto esposta la riflessione di una pensatrice come Donna Haraway, che pone anzi al centro della sua riflessione una ripresa di questo concetto [Haraway1999]. Dall'altro lato c'è la possibilità di pensare nella tecnica un ineliminabile elemento performativo, in cui il performativo è tale in quanto si fa carico del carattere irriducibile del sensibile in quanto contingenza. La tecnica è certamente uno sguardo strategico sul mondo (senza il quale forse non parleremmo nemmeno di un mondo), ma questo sguardo si gioca continuamente nell'esperienza in cui di volta in volta ci muoviamo: questo però è, come appare dal percorso delineato da Montani nella sua intervista, un percorso nella tecnica a partire dai presupposti dell'estetica, in particolare di quell'estetica "filosofia non-speciale" [Garroni1986] che è il ripensamento della filosofia critica da parte di Kant nella Critica della facoltà di giudizio.
Un intreccio, un entrelacs oserei dire, tra l'ipotesi di Stiegler e questo ripensamento estetico-critico della questione, in cui ad ogni avanzamento nella considerazione della costituzione tecnica del pensiero deve corrispondere una maggiore capacità di comprendere l'autonomia con cui si presenta l'aisthesis. Al centro però, come spinta etica ma anche come ostacolo teoretico, si colloca ad oggi, a mio parere, il problema dell'umanità dell'uomo, che proprio la tecnica (le biotecnologie in particolare) mettono continuamente in questione. Non a caso forse la disciplina filosofica che maggiormente si è ascritta il compito di riflettere sulla tecnica è stata una disciplina recente come l'antropologia filosofica. Molto provvisoriamente tento di porre così la questione: fino a quando il bios umano funziona come creatività performativa, è possibile pensare un essere (l'uomo) dotato di natalità (Arendt), cioè capace di padroneggiare (la questione della maîtrise emergerà come centrale nell'intervista di Stiegler) uno stare nell'esperienza aperto alla costruzione di un senso da parte del soggetto che è, insieme, l'apparire di un'innovazione delle cose. Dall'altra parte stanno forse tutte le immagini dell'uomo che ce lo presentano in tutta la sua (apparente) onnipotenza: se, come ci ricorda Bernard Stiegler, il dono del fuoco da parte di Prometeo agli uomini è un gesto di riparazione per la poca avvedutezza del fratello Epimeteo, questa seconda immagine dell'uomo è quella di un "Prometeo moderno", come recita il sottotitolo del Frankenstein di Mary Shelley. Un Prometeo senza il suo doppio Epimeteo.

 

Bibliografia.

 

H. Arendt, Che cos'è la politica?, a cura di U. Ludz, tr. it. di M. Bistolfi, Torino, Comunità, 2001

W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, tr. it. di E. Filippini, Torino, Einaudi 1966.

M. Carboni-P. Montani, 2005 Lo stato dell'arte. L'esperienza estetica nell'era della tecnica, Roma-Baril Laterza

E. Garroni, 1986 Senso e paradosso. L'estetica filosofia non speciale, Roma-Bari, Laterza

D. Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, tr. it. di L. Borghi, Milano, Feltrinelli 1999

B. Stiegler, 1996 La technique et le temps 2. La désorientation, Paris, Galilée

 

PUBBLICATO IL : 18-02-2007
@ SCRIVI A Dario Cecchi
 
Tema
Estetica e tecnica
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