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Tra logica e antropologia: l’ineffabile e l’anima in Hegel
Due interpretazioni a confronto
di Carla Fabiani

L’anima non è immateriale soltanto per sé, ma è l’immaterialità universale della natura, la sua semplice vita ideale. […] Ma, in tale determinazione ancora astratta, l’anima è soltanto il sonno dello spirito, — il nous passivo di Aristotele, che, sotto l’aspetto della possibilità, è tutto1.

Nell’Enciclopedia «l’anima viene presentata come il modo di esistere dello spirito ancora immerso nell’immediatezza della sua vita naturale. […] L’essenziale passività dell’anima viene riassunta da Hegel nell’efficace espressione che indica nell’anima “il sonno dello spirito” […] Tra gli antichi colui che seppe meglio di ogni altro descrivere i processi grazie ai quali l’anima, nascosta e quasi dormiente nella corporeità, a poco a poco la sottomette alla propria attività […] è agli occhi di Hegel indubbiamente Aristotele.»2
Potrebbero risultare sorprendenti, certamente inattese, le conseguenze teoretiche che si possono trarre da una lettura comparata di alcuni testi di F. Chiereghin e di F. Valentini, a proposito della nozione antropologica di anima connessa, in questa sede, a quella del Cominciamento della «Logica», ovvero al tentativo di cominciare la scienza con l’Essere e alla difficoltà di attribuire positività concettuale all’Indeterminato. Tale difficoltà corrisponde alla logica del Divenire, al passare immediato dell’Essere nel Nulla e del Nulla nell’Essere. «S’intende, o si opina, che l’essere sia anzi l’assoluto Altro che il nulla […] Ma è altrettanto facile convincersi che ciò è impossibile e che cotesta differenza è ineffabile.»3 La difficoltà di pensare questo ineffabile, ossia proprio il Divenire, precipita nell’Essere determinato, e cioè nel logos, il linguaggio e il pensiero logico propriamente detto, il pensiero determinato. Perché pensare, per Hegel, è innanzitutto determinare.
       Ma come e perché avviene il passaggio al Dasein ? Come mai da un’esperienza prelinguistica, indeterminata, si passa al logos, cioè al pensiero e al linguaggio determinati e correlati? Il passaggio è dialettico? Segue cioè lo schema classico hegeliano della negazione della negazione? Se così fosse, il determinato sarebbe surrettiziamente già presente in quel Divenire che Hegel voleva invece mantenere nella totale indeterminatezza4.. Ci troviamo allora di fronte a un fallimento della dialettica, almeno dal punto di vista della tecnica argomentativa, oppure l’Anfang non può essere in nessun modo pensato dialetticamente. Può semmai essere presentato nella sua intrinseca aporeticità. L’inizio non ha giustificazione, non ha fondamento, non è e non ha principio.
In ogni caso pensiamo l’incipit come “sfinimento” del pensiero, come vertigine dell’inizio del filosofare5:

La decisione di filosofare ci trasporta puramente nel pensiero (pensare è solitudine con se stessi), ci getta come in un oceano sconfinato; tutti i colori variopinti, tutti gli appigli, sono svaniti, tutte le consuete luci amichevoli si sono spente. Solo una stella brilla, la stella interiore dello spirito; lo spirito è  la stella polare. Ma è naturale che, nella sua solitudine, lo spirito cada in preda a una sorta di paura; non sappiamo ancora dove vogliamo andare, né dove andremo a finire. Fra le cose scomparse alla vista  ve  ne sono molte che non avremmo voluto abbandonare per tutto l’oro del mondo; ma in questa solitudine esse non sono ancora restaurate, ed è  incerto se le ritroveremo, se ci saranno ridate.
Questa condizione, questa incertezza, insicurezza, questo vacillare di tutte le cose, è quel che spesso intendiamo quando diciamo di non capire6.

Valentini ritiene che le prime tre categorie siano una monotriade e che il passaggio al Dasein non debba essere inteso dialetticamente. La logica comincerebbe perciò con l’Essere determinato e cioè con il linguaggio vero e proprio7.
Se qualche cosa deve essere pensato, se intendiamo cioè fare logica, è necessario che sia comunicabile nel linguaggio determinato di quella scienza a cui la moderna coscienza è giunta, secondo un percorso storico descritto da Hegel nella Fenomenologia dello spirito.. Dunque il cammino fenomenologico, anche al livello etereo e astratto delle prime categorie logiche è presente e imprescindibile, è il punto di vista del sapere assoluto, della coscienza ormai libera da paure e timori di fronte a ogni oggettività, che sceglie di pensare. La scelta, che come tale può anche essere considerata “arbitraria”8, è la scelta del pensiero come tale, il pensiero di pensiero, dettata dalla consapevolezza che l’ambito della pura speculazione sia la regione in cui la coscienza realizza la sua libertà ed emancipazione.. Una libertà determinata ed effabile, dicibile e condivisibile nel linguaggio.
È questa necessità di assoluta comunicabilità della scienza che Hegel intende portare alla luce. L’oscurità del prelogico o prelinguistico delle prime categorie, il tentativo parmenideo di pensare e dire l’Essere, è una condizione certo scientifica, ma corrisponde a un atteggiamento di immediatezza solipsistica e di singolarità difficilmente universalizzabile, nonché di opinabilità, se ci riferiamo alla presunta “differenza” fra essere e nulla, alla difficoltà di distinguerli nella loro indeterminatezza. Passare al determinato è anch’essa perciò una scelta, la scelta hegeliana di pensare condividendo nel linguaggio ciò che si pensa. «Furon gli Eleati i primi ad enunciare il semplice pensiero del puro essere, soprattutto Parmenide, che lo enunciò come l’Assoluto e come l’unica verità […].»9
Abbiamo dunque due scelte teoretiche. La prima è quella che corrisponde all’atteggiamento parmenideo e che pretende di pensare rimanendo fermi lì, al puro Essere indeterminato. La riflessione hegeliana10 prova allora a pensare in quei termini, e scopre che non è propriamente pensiero, cioè logos, il pensiero dell’Essere, ma addirittura è vuoto pensiero, Nulla. È una difficoltà pensare l’Essere, una difficoltà logica e linguistica. Rimanere fermi al Divenire, e cioè a questa stessa difficoltà, si può se si vuole, ma, intende Hegel, la scienza non può accontentarsi dell’ineffabile. L’inizio è  povera cosa; un nome e niente più. Una possibilità, che, come tale, racchiude in sé tutto: l’assolutamente indeterminato.
Ecco allora la scelta propriamente hegeliana che ripensa Parmenide: pensare è determinare nel linguaggio per la coscienza. Passare all’Essere determinato è la scelta di trattare il Vero secondo un atteggiamento contrapposto a quello per esempio di Parmenide per cui l’Assoluto è privo di determinazioni..
Ciò che Hegel condivide con i filosofi dell’identità11 è dunque la risolutezza, l’immediatezza del cominciamento stesso, pensare senz’altro. Ciò che a essi contrappone è invece proprio la specificità della sua scelta di pensare, cioè di pensare determinando. Entrambe le scelte sono lecite. Ma per Hegel la Logica vera e propria può articolarsi sensatamente solo sulla base di determinazioni coscienziali e linguistiche, assolutamente comunicabili. Una sorta di grammatica del pensare, che ferma solo virtualmente il Divenire; ma lo ferma per parlare, scrivere, intelligere e perciò farsi capire. Senza più alcuna paura di non capire.
È per questo che il movimento evanescente e istantaneo del Divenire non continua all’infinito. Precipita in un risultato calmo. Il Divenire è sì una unione contraddittoria, ma che si distrugge da se stessa. «Si tratta pur sempre di passaggi immediati, diremmo automatici, non di contraddizioni che si risolvono.»12
Dunque, l’ineffabile, questa astratta e rarefatta atmosfera mentale, «non è una semplice illusione. E che cosa è. È il tentativo di esprimere quella esperienza singolare di fatti singolari e talora inconsci, di cui Hegel parlerà nella prima parte dello Spirito soggettivo, l’Antropologia, e che ha il suo equivalente nel mondo della vita della Fenomenologia […]. Si tratta del puro vivere in una condizione di semicoscienza, in cui rientrano largamente manifestazioni patologiche o extranormali.»13
Si tratta dell’anima, intesa da Hegel proprio come eterno passato dello spirito, come sonno-sogno dello spirito, la cui fenomenologia anticipa la fenomenologia lucida della coscienza. «È una sorta di ombra che precede la luce, caratterizzata da un’ottusa quasi-indifferenza tra me e le cose e da un’originaria simpatia tra anima singola e anima del mondo.»14 È una dimensione certo assoluta, ma ineffabile. Le esperienze di coscienza che corrispondono a questo genere di Assoluto (l’anima dell’Antropologia o il mondo della vita della Fenomenologia) possono essere considerate suscettibili di diventare irrazionali e patologiche, quando non riescano a passare, secondo logica, a più complesse attitudini.

All’antropologia non si deve lasciare che quella regione oscura dove lo spirito sta, come si diceva una volta, sotto influssi siderali e terrestri, dov’esso vive come spirito naturale in simpatia colla natura e si accorge dei mutamenti di questa in sogni e presentimenti, quella regione in cui lo spirito abita nel cervello, nel cuore, nei ganglii, nel fegato etc., al quale ultimo secondo Platone la divinità, affinché anche la parte irrazionale avesse una qualche conoscenza della sua bontà e fosse partecipe del più elevato, avrebbe concesso il dono della profezia, mentre l’uomo conscio di sé starebbe sopra di essa. […] Questa infima fra le figure concrete nelle quali lo spirito è immerso nella materia ha la sua forma immediatamente superiore nella coscienza 15.

Si potrebbe avanzare l’ipotesi che vi sia in Hegel un Assoluto prelogico o non ancora logico e che Hegel lo abbia preso in considerazione come l’altro dal logos o come l’inconscio (pre-conscio); esperienze di coscienza sostanzialmente prelinguistiche o indicibili, legate alla mia corporeità=singolarità, psicosomatiche, patologiche, inintelligibili eppure con piene caratteristiche di assolutezza. Se da parte di Hegel la scelta del pensiero e della ragione discorsiva è il presupposto anche della trattazione antropologica, in quest’ultima è presente, in stretta analogia con il Divenire logico, l’esigenza di pensare l’ineffabile. Una volta pensato, nella Logica, l’ineffabile non è più tale; nell’Antropologia la passività dell’anima - della coscienza ancora non desta - non è semplice inattività, ma sofferta tensione verso una libera determinazione di sé16.
Sembra, in ogni caso, che per Hegel sia possibile trattare speculativamente l’irrazionale, l’ineffabile, l’Assoluto indeterminato; sia possibile cioè pensare filosoficamente nozioni e temi propriamente non dialettici. La nozione di anima (anima individuale e anima del mondo o vita) e la sua trattazione nell’Antropologia sta a indicare come questa sia l’inizio - e certo come tale pregno di tutte le possibilità di sviluppo - del pensiero coscienziale dell’essere umano e dell’uomo singolo. Un inizio tutto da determinare; tuttavia, per Hegel, tema scientifico degno di una trattazione separata, appunto nell’Antropologia, a partire dal De anima di Aristotele e dalla concezione aristotelica della passività-potenzialità del nous.
Rimane tuttavia indiscutibile per Hegel la necessità/libertà di oltrepassare la sfera antropologica del sonno-sogno e della naturalità-fisicità di me come singolo, pena la ricaduta (o la mancata uscita) in stati patologici di coscienza, al dunque incomunicabili. «Quando l’uomo ignora o viene meno al compito di trascendere se stesso in virtù del principio della libertà che lo costituisce nella sua essenza spirituale, allora egli rimane confinato dentro i limiti segnati da Hegel nell’Antropologia.»17 Lo stesso discorso potrebbe valere per l’inizio della Logica. Oppure per la definizione hegeliana del tempo, come suggerisce bene Chiereghin, notando la sorprendente e «inquietante affinità […] tra la definizione dell’inizio e quella del tempo. Se l’inizio è “Nichtseyn, das Seyn, und Seyn, das zugleich Nichtseyn ist”, il tempo è, nell’Enciclopedia del 1817, un essere semplicemente astratto, ideale, “das indem es ist, nicht ist, und indem es nicht ist, ist”, “in quanto È, non è, e in quanto non è, È”.. Sia pure nell’esteriorità della natura [il tempo] ha una struttura che lo apparenta non solo alla rappresentazione dell’inizio [e, aggiungiamo noi, a quella certa passività e indeterminatezza che è l’anima nell’Antropologia], ma alla definizione stessa dell’assoluto. Come il tempo è  la potenza che genera tutto e tutto distrugge, che rivela la nullità sostanziale da cui è affetto tutto ciò che è finito, così l’assoluto, nella sua prima, più pura astratta costituzione, consiste in nulla più che in quest’oscillazione incessante tra essere e nulla, sorgere e perire, affacciarsi e sparire, in cui ogni determinazione, ogni differenza, ogni relazione sono scomparse e davanti a cui, come davanti all’Anfang, pensiero e volontà giungono allo stremo.»18
Desideriamo a questo punto sottolineare come le letture di questi testi hegeliani, restituiteci da Chiereghin e Valentini, proprio nella loro diversità eppure nel loro possibile e prezioso confronto, aprano delle vie di ricerca, almeno in ambito hegeliano, a dir poco suggestive.

Ne elenchiamo solo alcune, ma solo per accenno:

  1. L’aporia dell’inizio logico: il dominio della dialettica e i suoi limiti in Hegel.
  2. L’anima e le ragioni della patologia: l’antropologia hegeliana.
  3. L’assoluto come ‘altro’ dal logos.
  4. Il prelogico nella sistematica hegeliana.
  5. I ‘passaggi’ immediati nei testi di Hegel.

Ma vogliamo concludere con una citazione a noi molto cara – potrebbe introdurci al primo e al secondo punto dell’elenco.
«La conversazione cadde sulla dialettica. “In fondo - disse Hegel - la dialettica non è altro che lo spirito di contraddizione, regolato e metodicamente coltivato, insito in ogni uomo; uno spirito che celebra la sua grandezza nella distinzione tra il vero e il falso.”“Purché - intervenne Goethe - questa capacità e queste arti dello spirito non siano così spesso male impiegate e utilizzate per rendere vero il falso e falso il vero.” “Certo - ribatté Hegel - questo succede, ma soltanto ad uomini che hanno lo spirito malato.”» [J. P. Eckermann, Colloqui con Goethe, 18 ottobre 1827].


1 G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 381.

2 F. Chiereghin, L’Antropologia come scienza filosofica in: AAVV, Filosofia e scienze filosofiche nell’«Enciclopedia» hegeliana del 1817, a cura di F. Chiereghin, Quaderni di verifiche 6, Trento 1995, pp.429-454.

3 G. W. F. Hegel, Scienza della logica, tomo I, Laterza, Roma-Bari 1988, p. 81.

4 Per quanto riguarda le classiche critiche rivolte al Cominciamento hegeliano e quindi al «Togliere del Divenire» rimandiamo al testo di C. Tuozzolo, Schelling e il «cominciamento» hegeliano, Edizioni Città del Sole, Napoli 1995.

5 Cfr. F. Chiereghin, Principio e  inizio, cit., p. 539 e sgg., dove significativamente si  legge: «Il Dasein è il residuo di macerie che rimane dopo che pensiero e volontà si  sono logorati in reiterati, estenuanti assalti, esponendosi alla necessità inflessibile di un inizio irraggiungibile; il Dasein è il  primo concreto, la prima piega o  increspatura che si  produce dopo l’insostenibile indifferenza dell’inizio e alle quali il pensiero si aggrappa per sopravvivere […]. Il dileguarsi del dileguarsi, la negazione della negazione, che dovrebbero assicurare il passaggio dal divenire al Dasein, in realtà non assicurano nulla, anzi, rendono ancor più evidente il salto che separa il pensiero dell’inizio da qualunque altro pensiero successivo alle aporie che rendono impraticabile il primo.»

6 G.W.F. Hegel, Discorso inaugurale a Berlino (22 ottobre 1818), in Id., Scritti storici e politici, a c. di D. Losurdo, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 234.

7 F. Valentini, op.cit., pp. 144-145.

8 «Non si ha altro, allora, salvo la risoluzione (che si può riguardare anche come arbitraria) di voler considerare il pensare come tale.» (G.W.F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 55).

9 G. W. F. Hegel, Scienza della logica, cit., p. 72.

10 Cfr. Ivi, p. 90. Dove Hegel distingue nettamente i due metodi o modi di leggere la scienza logica: ossia, fra pura riflessione interna, e cioè l’autoriflessione che procede dall’interno delle categorie, in questo caso dall’interno dell’Essere/Nulla/Divenire da cui si sviluppano poi liberamente tutte le altre categorie più concrete; e riflessione esterna, e cioè la riflessione di chi considera quelle iniziali categorie come  risultato di un processo riflessivo di massima astrazione dal più concreto, ossia l’Essere di Parmenide come vuoto ente di ragione e perciò “determinato come  indeterminato”.

11 E cioè con l’Essere di Parmenide, l’Uno di Plotino,  la Sostanza di Spinoza e l’Assoluto di Schelling.

12 F. Valentini, cit., p. 149.

13 Ivi, p. 154-155.

14 Ivi, p. 155.

15 G.. W. F. Hegel, Scienza della logica, tomo II, Laterza, Roma-Bari, 1988, pp. 886-887

16 Cfr. su questo l’intero saggio di F. Chiereghin,  L’Antropologia, cit.

17 F. Chiereghin, L’Antropologia, cit., p. 453.

18 Id., Principio e inizio, cit. pp. 542-43.

PUBBLICATO IL : 09-05-2006
@ SCRIVI A Carla Fabiani
 

 
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