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Hilary Putnam e il "necrologio dell'ontologia"
di Filippo Gonnelli

In queste pagine farò alcune osservazioni sulla tesi presentata da Hilary Putnam in un ciclo di conferenze tenute nel 2001-2002 e poi pubblicate nel 2004 sotto il titolo Ethics without Ontology[1]. Non sono in questione, almeno direttamente, gli esiti complessivi della filosofia di Putnam o la sua evoluzione interna. I testi raccolti in questo volume hanno piuttosto il vantaggio di avere una relativa autonomia e di permettere quindi di affrontare, almeno nelle sue linee principali, la tesi esposta nel titolo. Questa tesi potrebbe essere meglio specificata così: poiché l’ontologia, intesa come scienza unitaria di ciò che ‘veramente esiste’, è il frutto di un grande malinteso filosofico, l’etica deve necessariamente farne a meno. L’etica non può fondarsi su una ontologia.

Qui cercherò in primo luogo di esporre la critica all’‘ontologia’ così come Putnam la intende; in secondo luogo, farò qualche osservazione critica sulla possibilità che sia effettivamente pensabile un’etica - in un significato molto generico che tuttavia comprende anche quello esposto in Ethics without Ontology - dopo la scomparsa dell’ontologia auspicata da Putnam.

 

  1. Relativismo concettuale

 Come è noto, la posizione sostenuta da Putnam è quella del «relativismo concettuale» (conceptual relativism). Non ripercorrerò, qui, le sue precedenti versioni. Quella che si legge in Ethics without Ontology appare più esplicita e radicale, probabilmente perché Putnam tiene conto di alcune obiezioni di rilievo.

L’‘ontologia’ di cui va fatto il necrologio viene presentata come quella della tradizione metafisica classica, di origine greca,  proseguita, con diversi stili e forme, sino al Quine di On What There Is e oltre: la scienza che si vorrebbe occupare di ciò che veramente esiste (un sottotitolo possibile dell’opera di Putnam avrebbe potuto essere: ‘contro l’ontologia di Quine e dei suoi successori’)[2]. Per scrivere il necrologio di questa ontologia Putnam riprende una classificazione diffusamente utilizzata nel dibattito analitico, anche sotto il suo stesso influsso - benché la sua origine sia individuabile nelle teorie della verità: la classificazione di tutte le possibili ontologie in ontologie «inflazioniste» e ontologie «deflazioniste». Una classificazione che guarda quindi al modo in cui le ontologie includono o escludono oggetti dall’insieme di ciò che ‘veramente’ esiste. Le ontologie inflazioniste, così come Putnam le interpreta, non sono però semplicemente quelle il cui catalogo è estensivo o comunque estendibile, quanto piuttosto le ontologie in cui l'inflazione avviene preferibilmente in direzione di quegli oggetti «non rilevabili con la percezione ordinaria e con il senso comune», ossia le idee e in generale ogni elemento categoriale: si tratterebbe quindi di ontologie sostanzialmente platoniche, in cui l'aggiunta al catalogo delle cose che ‘ci sono’ di enti ideali implica per principio una serie indefinita di ipostatizzazioni; gli enti ideali (gli universali) hanno infatti il ruolo di fare da spiegazione o fondamento ad altre cose esistenti (gli individui): il bene fonda l'azione buona, il bello la bella opera d'arte, e più in generale le proprietà fondano (rendono possibili) gli oggetti di cui si predica quella proprietà. Come vedremo, non sono queste ontologie a costituire l’obiettivo principale di Putnam: l’inflazionismo platonico (inclusa la sua versione hegeliana, cfr. EO 19; 31) è stato storicamente sconfitto.

L’ontologia moderna, già dopo Cartesio, ma poi in particolare con il neopositivismo, è andata nella direzione opposta, essenzialmente a causa della nascita della scienza moderna e della sua affermazione come criterio ultimo di verità riguardo a ciò che esiste e ciò che non esiste. Le ontologie «deflazioniste» sono infatti quelle in cui le molte cose che esistono - apparentemente - sono tendenzialmente riducibili a pochi elementi ultimi o addirittura a uno. L’esempio classico e più antico di questo tipo di ontologie è, ovviamente, l'atomismo di Democrito. Queste ontologie deflazioniste sono però secondo Putnam da suddividere ulteriormente: ontologie «riduzioniste» e ontologie «eliminativiste». Le ontologie riduzioniste sono quelle in cui gli oggetti a, b o c non sono che x; l’esempio più ovvio è quello della seicentesca distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie (EO 20; 31). Quelle eliminativiste sono invece quelle in cui il presupposto oggetto x, semplicemente, non è. Ad esempio il flogisto o l'homunculus, teorizzati dalle scienze naturali del XVIII secolo, non esistono (qui Putnam si riferisce in sostanza alle tesi di Churchland, citate esplicitamente solo in seguito, ma si potrebbero anche indicare altri autori, non propriamente fisicalisti)[3]. Si può dire che il vero problema di Putnam siano le ontologie eliminativiste, quelle che hanno più a fondo portato avanti il progetto quiniano, ma soprattutto quelle che si pensano come ontologie forti, che hanno l’obiettivo, indicando ciò che ‘veramente’ esiste, di togliere di mezzo ciò che ‘veramente’ non esiste.



[1] H. Putnam, Ethics Without Ontology, Harvard University Press 2005; trad. it. Etica senza ontologia, Bruno Mondadori, Milano 2005 (la traduzione italiana è spesso inutilizzabile; ne daremo comunque i riferimenti di pagina); abbr. EO seguito dai numeri di pagina dell'edizione originale; numeri di pagina della trad. it. dopo il segno «;». Per una discussione di vari temi del libro si possono vedere, tra l’altro, i testi pubblicati in «Contemporary Pragmatism», 3, 2006 (Symposium on H. Putnam: Ethics without Ontology, pp. 1-98).

[2] W. V. Quine, On What There is, «The Review of Metaphysics», 2, 1948, pp. 21-38, poi rist. in Id., From a Logical Point of View. Nine Logico-Philosophical Essays, Harvard University Press 1953; trad. it. Id., Da un punto di vista logico. Saggi logico-filosofici, a c. di P. Valore, Cortina, Milano 2004.

[3] Cfr. ad es. Peter van Inwagen, Material Beings, Cornell University Press 1990; e Theodore Sider, Ontological Realism, in Metametaphysics, a c. di D. Chalmers, Oxford University Press 2009, pp. 384-423.

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PUBBLICATO IL : 10-11-2012
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