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Immagini Per Una Nuova Estetica? Brevi Riflessioni Sullo Statuto Di Una Disciplina Introduzione
di Dario Cecchi

 

Questo numero speciale del Giornale di filosofia dedicato all’estetica nasce da una duplice esigenza. Da un lato, si avverte a mio parere, dentro e fuori gli steccati di questa disciplina filosofica, un crescente bisogno di ridefinirne i metodi, le finalità e le relazioni con altre aree di ricerca, filosofiche e non. L’estetica nasce alla fine del Settecento dalla saldatura, per nulla scontata in precedenza, della riflessione sulla bellezza con la riflessione sull’arte sia dal punto di vista dei suoi fruitori sia di quello dei suoi produttori. La storiografia riconosce nel pensatore leibniziano Baumgarten il padre fondatore di questa branca della filosofia e, effettivamente, oltre a aver dato un notevole contributo a questa disciplina, Baumgarten è precisamente colui che ha coniato il termine ‘estetica’ individuando nell’aisthesis uno se non il referente principale di questo approccio di ricerca filosofica. Da questo momento in poi, la bellezza non può più essere completamente sciolta da un vincolo sensibile: la bellezza è, in altre parole, qualche che essenzialmente percepiamo. Appare già sullo sfondo il ruolo significativo che in questo circolo di pensiero verrà ad assumere l’arte, soprattutto dopo che, con la Critica della facoltà di giudizio, Kant avrà dato il suo fondamentale contributo fondativo all’estetica: l’arte verrà a costituire, infatti, la pietra di paragone esemplare di come sia possibile rintracciare quelle linee di senso dell’esperienza a cui, esperite sotto forma di sentimento più che di conoscenza, diamo il nome di bellezza.

In questo modo, però, siamo già a Kant e all’estetica critica e manchiamo di sottolineare il contributo fondamentale che alla nascita dell’estetica hanno dato anche gli empiristi inglesi (cito solo due nomi: Hume e Burke) con le loro ricerche sulla relazione tra senzazione e sentimento del bello e sulla definizione di una regola del gusto universalmente valida (tema che tornerà prepotentemente in Kant) e quel complesso di pensatori francesi che nel corso del Settecento hanno dato l’addio alla tradizione delle poetica e della retorica classiche per fondare su nuove basi, quelle di una critica d’arte allo stato nascente, lo studio e l’interesse per il fare artistico. Fatto salvo il carattere ‘battesimale’ dell’estetica baumgarteniana, se volessimo vedere nella terza Critica kantiana il primo tentativo complessivo di fondare un’estetica filosofica – seguo qui l’importante indicazione di un filosofo e studioso di estetica ‘kantiano’ della caratura di Emilio Garroni – dovremmo riconoscere che un’impresa di questo genere trae la sua identità da alcuni profili caratterizzanti. Da un lato, essa riconosce nell’esperienza un’area problematica – qualcosa che sfugge al modello, dominante nella di modernità, di spiegazione scientifica della realtà, un je ne sais pas quoi riconosciuto già da Cartesio – e tenta di darne una spiegazione rigorosa. L’arte e il bello in genere e in particolare il problema di come costruiamo le regole per apprezzarla, dal momento che esse non sono definite prima di entrare concretamente in contatto con l’opera e farne esperienza, costituisce appunto questa area problematica. Dall’altro c’è l’esigenza di inserire la riflessione estetica all’interno del proprio ‘sistema filosofico’ non come ‘appendice’ e ‘parte speciale’, ma come riflessione che autonomamente si appropria degli strumenti del pensiero, arrivando anche a poterne mettere in discussione le condizioni e i limiti e, in prospettiva, a rifondare i presupposti del nostro filosofare, come accade alla filosofia critica kantiana secondo la celebre interpretazione proposta da Garroni

 

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PUBBLICATO IL : 07-11-2010


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