Il giovane studioso Giovanni Carrozzini ha pubblicato, per i tipi della  Manni, la prima monografia italiana su un filosofo contemporaneo ancora poco  conosciuto: Gilbert Simondon (1924-1989). Questo epistemologo francese,  formatosi alla scuola di Canguilhem, ha elaborato una notevole teoria della  tecnica, degna di essere messa accanto a quelle di pensatori come Heidegger o  Gehlen, ed una, in parte meno attuale, teoria dell’individuazione  psico-sociale. La fatica di Carrozzini è pertanto meritevole, perché  contribuisce a promuovere in Italia l’interesse per un autore la cui ricezione  è spesso mediata dalla lettura di filosofi maggiormente noti (Deleuze,  Foucault), che si sono confrontati con il lavoro di Simondon. Non è solo in  Italia che Simondon è poco conosciuto: anche se più studiato, nemmeno in  Francia è considerato un classico della filosofia del ‘900 e solo negli ultimi  anni questo nome è diventato familiare nel dibattito filosofico, grazie anche a  Bernard Stiegler, filosofo della tecnica, allievo di Derrida. 
  Il libro di Carrozzini s’intitola Gilbert  Simondon: per un’assiomatica dei saperi. Sottotitolo: Dall’“ontologia dell’individuo” alla filosofia della tecnologia. È  evidente la scelta di leggere uno sviluppo nel pensiero di Simondon, ponendo la  tecnica come punto d’arrivo. È un’ipotesi che trovo condivisibile, ma valida  solo sul piano teoretico e non su quello cronologico, perché le tre opere  fondamentali di Simondon, Du mode  d’existence des objets techniques (1958), L’individu et sa genèse psycho-biologique (1964) e L’individuation psychique et collective (1989, l’unica opera di Simondon tradotta in italiano da Paolo Virno per  Deriveapprodi), sono il risultato di due tesi di dottorato, svolte  parallelamente dal filosofo francese.  
  Carrozzini sceglie un punto di vista molto interessante, a partire dal  quale perlustrare il pensiero di Simondon: si tratta dell’interesse di Simondon  per l’Illuminismo dell’Encyclopédie.  Per Simondon gli encyclopédistes hanno compreso l’importanza della tecnica all’interno del sapere umano. Il loro  progetto non andrebbe interpretato come una raccolta sistematica del sapere  umano, ma come un impulso ad una “alfabetizzazione” tecnica generalizzata.  Punto di vista molto interessante, perché offre l’occasione a diverse  riflessioni: il ripensamento, ad esempio, della categoria storiografica di  Illuminismo, che potrebbe fornire lo spunto per un confronto tra la posizione  di Simondon e l’interpretazione etico-politica dell’Illuminismo di Adorno e  Horkheimer. 
  La ricostruzione del contesto epistemologico in cui si muove Simondon  (l’epistemologia di Bachelard e Canguilhem e le sue radici bergsoniane)  è ottima, meno quella del contesto filosofico  in genere, laddove la ricostruzione dei rapporti con un filosofo del calibro di  Maurice Merleau-Ponty avrebbe necessitato di una presentazione più dettagliata,  in grado di mettere in luce meglio il pensiero dell’eminente fenomenologo. Si  potrebbe osservare in questo senso che il tentativo di rileggere  l’epistemologia di Simondon all’interno di un più generale ripensamento  dell’impostazione scientifica galileiano-cartesiana appare a volte troppo  generico. 
  Carrozzini rilegge tutta l’opera di Simondon, suddividendo il suo libro,  dopo un capitolo introduttivo, in due capitoli: il primo dedicato alla teoria  dell’individuazione psico-sociale ed il secondo alla tecnica. La scrittura si  fa più fluida e la comprensione più chiara con il procedere  dell’argomentazione. Il capitolo sulla tecnica è il più nitido. Non è  indifferente la fatica di presentare in un’unica opera tutto il pensiero di  Simondon, scrittore a volte criptico e incline a servirsi (con perizia) dei  tecnicismi propri delle materie che trattava.  
  Manca a sostenere il lettore un’ipotesi di fondo. L’idea che sia in gioco  l’affermarsi di un “neo-enciclopedismo” è troppo debole, perché non mostra  sufficientemente l’attualità del pensiero di Simondon, che non si limita ad  essere uno storico della scienza. Se anzi un aspetto del pensiero di Simondon è  invecchiato, è proprio il suo tentativo di realizzare un’ipotesi generale sullo  sviluppo del sapere umano, in cui si svolge un’interpretazione della magia,  della religione e dell’estetica come modi fondamentali dell’esistenza umana  accanto alla tecnica. Costruire l’approccio a Simondon supponendo un impianto  sistematico del suo pensiero non rende sempre merito a questo pensatore.  
  L’originalità della teoria della tecnica di Simondon consiste nel fatto –  Carrozzini lo mostra bene – che la tecnica, come modo di conoscenza, lascia  emergere i rapporti sussistenti tra i diversi materiali, tra le diverse fonti  di energia e tra l’uomo e la materia. Questi rapporti sussistono già da prima,  non è la tecnica a crearli, ma senza l’operare tecnico non emergerebbe la  possibilità per tutte queste forze di concretizzarsi in «ambienti associati».  
  Gli oggetti tecnici di cui parla Simondon sono perciò diversi dagli  oggetti della scienza, isolabili dalla realtà in virtù di una rappresentazione  del soggetto. L’oggetto tecnico non è né oggetto di conoscenza scientifica né  mero strumento, ma fa della tecnica un modo di conoscenza autonomo, accanto a  quello scientifico. Il suo fine non è la scoperta di leggi, come nella scienza,  ma la definizione dei processi d’individuazione.  Il tema dell’individuazione mi sembra il filo conduttore, non pienamente  esplicito, a partire dal quale Carrozzini ricostruisce il pensiero di Simondon.  
  L’analisi dei processi d’individuazione è centrale anche nella  riflessione psico-sociale di Simondon. In tale ambito la possibilità che delle  forze convergano a formare un individuo è regolata da quella che Simondon definisce  «metastabilità». Si tratta di un concetto, presente anche in maniera marginale  nell’opera sulla tecnica, che mira a ridefinire l’individuo non come una monade  perfettamente chiusa in se stessa, ma come una forma che si costituisce solo a  partire da un’originaria apertura nei confronti dell’altro e che può in ogni  momento ridefinirsi a partire da un nuovo punto di stabilità. È il concetto più  conosciuto e sfruttato di Simondon (si pensi a Deleuze) e proprio per questo è  importante poter tornare oggi all’originale attraverso la monografia di  Carozzini. 
  Un’ultima notazione. Lo stile di Carozzini non aiuta sempre la lettura.  Non parlo solo dello stile di scrittura, che è criticabile solo entro certi  limiti, perché risponde a criteri di gusto o ad esigenze tecniche. Carrozzini  interrompe spesso la trattazione per inserire esempi o veri e propri excursus, spesso lontani dalla materia  trattata. La comprensione risulta così più difficile. Si sarebbe voluto un  taglio più deciso per il libro, che avrebbe anche contraddistinto in maniera  precisa il profilo di uno studioso giovane come Carrozzini. Carrozzini stesso  lamenta nel libro la mancanza di una biografia intellettuale di Simondon: mi  sento di riprendere questa affermazione e di rivolgergli invito a scrivere una,  definitiva, monografia su Gilbert Simondon.  |