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Laura Zanetti, La filosofia di Luigi Scaravelli , Armando Siciliano, 2003.
di Fabrizio De Luca

Il lavoro di Laura Zanetti si concentra, come si può ovviamente desumere dal titolo, sulla riflessione di Luigi Scaravelli, un filosofo che non fu mai un “autore popolare” ma un pensatore di un’onesta intellettuale di notevole spessore, come sostiene Bernard Berenson in un ricordo, la cui serietà e profondità, connesse ad una prosa fulminea e densa, ha sempre posto l’interprete di fronte ad un arduo lavoro nel comprendere la ricchezza teorica delle sue argomentazioni. L’autrice – la cui opera si inserisce nella collana di studi di filosofia, storia e scienza della complessità, diretta da Giuseppe Gembillo e Giuseppe Giordano che annovera studi di notevole qualità – cerca di mostrare l’importanza e la densità delle opere scaravelliane, adottando come “punto di vista” l’esigenza di «rendere ragione dell’unità speculativa del pensiero del filosofo fiorentino» (p. 31). La filosofia del pensatore toscano, infatti, è interamente costituita nel suo fondo da elementi teorici che, benché siano gli “stessi”, vengono in ogni lavoro affrontati di “nuovo”, spesso da prospettive differenti. Ciò mostra come il “problema speculativo” permanga quello che si può ricavare dalla Critica del capire, la sua opera principale pubblicata nel 1942, senza che alla sua produzione possano essere attribuite “svolte” o ripensamenti di sorta.
«Alla base della riflessione scaravelliana […] si trova una duplice istanza: dare un’adeguata espressione al problema metodologico e creare uno spazio teoretico in grado di fondare e giustificare l’individualità» (p. 37). Sicuramente tali questioni sono costitutive della stessa forma mentis di Scaravelli, difatti anche quando si occuperà negli anni ’40 della problematica epistemologica in Kant e nella fisica contemporanea, esse rimarranno sullo sfondo come problemi fondamentali a cui dover rispondere anche in sede di analisi scientifica dei fenomeni fisici.
Il punto di partenza del lavoro della Zanetti è la Critica del capire. Il testo del ‘42 pone l’interprete di fronte ad una serie di problemi, che riguardano i fondamenti stessi del pensiero filosofico. Il problema principale che si ritrova all’interno dei cinque densi capitoli della Critica del capire è indagare le dinamiche del rapporto realtà-conoscenza che ha investito l’intera storia del pensiero filosofico. All’interno dell’analisi di questa relazione è necessario determinare la possibilità della giustificazione delle strutture stesse del pensiero (identità, distinzione, contraddittorietà, contrarietà, analisi e sintesi). In tal senso la riflessione di Scaravelli non può non confrontarsi, sebbene non con una modalità storiograficamente inusuale, con la storia della filosofia.
L’autrice ricostruisce il “dialogo” scaravelliano con la tradizione, seguendo l’ordine dei capitoli della Critica. Sicuramente l’esame dell’esegesi scaravelliana di Hegel, Croce e Gentile meriterebbe un maggiore approfondimento, in cui la complessità della riflessione del pensatore toscano si mostri in tutta la sua ampiezza, utile a far comprendere come il confronto con Croce e Gentile sia, nelle modalità diverse in cui avviene, decisivo per la stessa evoluzione del pensiero del filosofo fiorentino proprio per la radicalità dei risultati teorici a cui giunge. Il non soffermarsi su questi aspetti della riflessione scaravelliana è dovuto all’intento che l’autrice si è proposto, ossia racchiudere, quasi con “scaravelliana” sinteticità e nitidezza, il nucleo teorico della Critica su cui far ruotare il resto della produzione scaravelliana. E’ sicuramente meritevole di discussione la tesi della Zanetti secondo cui il metodo della filosofia di Scaravelli sia definibile come «procedimento per assurdo». Questa visione andrebbe confrontata con il concetto di libertà positiva, definito nella sua struttura nel capitolo terzo della Critica, che ha un ruolo centrale nella comprensione del metodo scaravelliano, in quanto attraverso esso può essere valutata la possibile giustificabilità dell’“individuale” in un sistema filosofico. Infatti tale concetto – tripartito in spontaneità, concretezza e razionalità – può essere sicuramente additato come l’elemento “positivo” – benché tale positività meriti, e non è questo il luogo, di essere spiegata e dimostrata – che la riflessione scaravelliana produce, ossia il risultato “critico” del volume del 1942.
I capitoli dedicati all’analisi degli scritti successivi alla Critica del capire – quelli sulla filosofia kantiana e cartesiana – costituiscono sicuramente la parte migliore del libro. L’esegesi scaravelliana di Kant viene ricostruita mettendo in rilievo tre questioni: 1) il confronto tra il periodo “precritico” e quello “critico”; 2) l’importanza di matematica e fisica per la struttura della sintesi a priori; 3) la comprensione della funzionalità dei principi della Critica della ragion pura. Attraverso l’attento esame di questi elementi si può delineare la concezione scaravelliana del rapporto scienza-filosofia in generale, oltre che all’interno del sistema kantiano.
Anche gli ultimi lavori del filosofo fiorentino – le Osservazioni sulla Critica del Giudizio e l’incompiuto saggio sulla logica crociana – vengono ricondotti alla problematica fondamentale del pensiero del filosofo fiorentino. Uno dei punti sicuramente più interessanti del lavoro sulla terza critica kantiana è la rilevanza che assume il giudizio di gusto all’interno del sistema kantiano. Esso è «caratterizzato da una sinteticità non sottoposta a schemi, quindi radicalmente diversa dalla sintesi a priori che è a fondamento della gnoseologia delle scienze» (p. 202), benché Scaravelli delinei i limiti di questo giudizio rispetto alla giustificazione, attraverso la sua funzionalità, dell’individualità.
Nel saggio mai terminato su Croce ricompare il problema della storia e la sua concretezza nel giudizio crociano. Nelle pagine di questo lavoro, pubblicate postume, lo sforzo crociano, e gentiliano di liberarsi dalla sintesi a priori viene messo sempre più in evidenza. Difatti le parti dedicate al giudizio e sillogismo in Kant e in Hegel sono da considerasi assolutamente decisive per comprendere la “realtà come storia”, cioè il sistema crociano.
Benché l’intenzione di esaurire nella trattazione la complessità dell’intreccio teorico che si mette in scena nelle pagine scaravelliane sia un’operazione ardua, la Zanetti dimostra, altresì, una grossa capacità di rendere con precisione e sintetica chiarezza i temi principiali della riflessione del filosofo fiorentino. Il lavoro della Zanetti ha inoltre il merito di mettere in evidenza l’unitarietà della riflessione scaravelliana che finora era stata poco rilevata nella letteratura secondaria sul filosofo fiorentino.

PUBBLICATO IL : 07-02-2005

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