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Platone
di Giorgia Marchiori

Platone nacque nel settimo giorno del mese Targelione (maggio-giugno) del 428/27 a.C, cioè nello stesso giorno in cui gli abitanti dell’isola di Delo dicono che nacque Apollo. La famiglia del filosofo era di origine nobilissime: il padre Aristone sembra che discendesse da Codro, un antico re  di Atene, mentre la madre, Perictione, era figlia di Glaucone il Vecchio, fratello di Crizia II, uno dei Trenta Tiranni; rimasta vedova, sposò poi Pirilampo, intimo amico di Pericle. Dall’unione di Aristone e Perictione nacquero Platone, Adimanto, Glaucone (questi ultimi sono i due interlocutori della Repubblica) e Potone, madre dello Speusippo che poi succederà a Platone nella direzione dell’Accademia. “Platone” non è il nome originariamente datogli dai genitori, che doveva invece essere Aristocle, bensì un soprannome assegnatogli, secondo quanto riferisce Diogene Laerzio, o dal maestro di ginnastica per la sua “ampia” (plàtos in greco significa, infatti, ampio) costituzione, o per l’ampiezza dello stile o, ancora, perché ampia era la sua fronte.

Prima del decisivo incontro con Socrate, che avvenne nel 408 circa, si dice che Platone avesse frequentato l’eracliteo Cratilo e il parmenideo Ermogene; almeno così riferiscono Aristotele e Diogene Laerzio. Ma gli anni decisivi furono quelli passati con Socrate. Nella VII Lettera, che costituisce un documento fondamentale per ricostruire la personalità del filosofo, Platone afferma che da giovane pensava di dedicarsi alla vita politica, facilitato tra l’altro in ciò dalle illustri parentele; ma la sconfitta di Atene nella guerra del Peloponneso (404), il fallimentare esperimento aristocratico dei Trenta Tiranni (404-3), il deludente ritorno di una democrazia ben diversa dalla precedente e, soprattutto, il fatto decisivo della ingiusta condanna a morte di Socrate (399), disgustarono il giovane ateniese che, da allora in poi, non cessò di meditare su come sarebbe stato possibile migliorare la vita politica. La conclusione cui giunse era che ciò non sarebbe stato possibile senza la filosofia. Scrive, infatti, Platone: “Io vidi che il genere umano non sarebbe mai stato liberato dal male se prima non fossero giunti al potere i veri filosofi, o i reggitori di stato non fossero per divina sorte divenuti veramente filosofi” (Lett. VII, 325 c); ecco qui il pensiero che doveva animare tutta la sua opera, e cioè che solo la filosofia avrebbe potuto realizzare una comunità umana fondata sulla giustizia.

Dopo la morte di Socrate, insieme ad altri condiscepoli, Platone si recò a Megara presso il socratico e parmenideo Euclide; da qui intraprese un lungo viaggio che lo portò in Egitto, a Cirene, in Magna Grecia, dove conobbe il pitagorico Archita di Taranto, e, infine, giunse verso il 388 a Siracusa, presso la corte del tiranno Dionigi il Vecchio. Qui rimase per un anno, durante il quale legò amicizia con Dione, cognato di Dionigi. Se Dione rimase affascinato dall’ideale filosofico-politico di Platone, che auspicava e proponeva una restaurazione della vita politica secondo i dettami della sapienza, Dionigi il Vecchio e la sua corrotta corte si infastidirono, a causa delle libere critiche del filosofo, a tal punto che nel viaggio di ritorno ad Atene questi venne fatto sbarcare ad Egina e lì venduto come schiavo. Dopo esser stato riscattato da un certo Anniceride di Cirene, tornò ad Atene nel 387 e vi fondò la sua scuola, detta “Accademia” in quanto sorta nei giardini dedicati all’eroe Academo. Il corso di studi e l’educazione qui impartita dovevano rispecchiare il programma delineato nella Repubblica.
Nel 367, morto Dionigi I, Platone si recò una seconda volta in Sicilia, a Siracusa: Dionigi il Giovane, di cui si esaltava la liberalità, sembrava più adatto del padre a realizzare l’ideale platonico. Ma anche questa volta il filosofo ateniese rimase deluso: Dionigi II si rivelò addirittura peggiore del padre. Non solo, infatti, esiliò Dione accusandolo di tramare contro di lui, ma trattenne Platone stesso a Siracusa come prigioniero. Solo nel 365, con lo scoppio di una guerra in Sicilia, Platone riuscì a tornare ad Atene, ove riprese la sua attività all’Accademia; durante la sua assenza, nel frattempo, vi era entrato nel 367 Aristotele, che vi rimase per ben vent’anni.
Un’ultima volta, nel 361, Platone ritornò a Siracusa, con l’intento di riconciliare Dione e Dionigi. Ma nonostante le promesse di Dionigi, Platone fu trattenuto nuovamente in una semi prigionia e i provvedimenti contro l’amico Dione divennero sempre più gravi. Solo  l’intervento di Archita di Taranto, amico di Dionigi e di Platone, mise in salvo il filosofo facendolo partire per Atene, città che, dal  360, non abbandonerà mai più.

Intanto gli eventi in Sicilia si fecero sempre più drammatici: nel 353 Dione, dopo esser riuscito ad impadronirsi di Siracusa (357), venne assassinato da Callippo, un discepolo dello stesso Platone; morivano così, insieme a Dione, il sogno e la speranza di poter attuare a Siracusa una comunità giusta. Tutta la delusione al riguardo, emerge nella VII Lettera, indirizzata ai Siracusani dopo la morte di Dione.
Platone morì ad Atene nel 348-7, all’età di circa ottant’anni.
Narra un aneddoto che al momento della sua morte accanto al filosofo venne trovata una tavoletta con sopra trascritto e modificato, rispetto alla prima stesura, il proemio della Repubblica, l’opera in cui più di tutte Platone aveva asserito la necessità della filosofia ai fini della realizzazione di uno stato giusto: il filosofo deve infatti governare  perché è il solo a conoscere la verità ideale e quella realtà che è eterna e sempre identica con se stessa. “E quali sono per te i veri filosofi?”, domanda l’interlocutore della Repubblica per capire perché  proprio questi ultimi debbano governare: “quelli che amano contemplare la verità” gli risponde semplicemente Socrate, chiarendo il fondamento del progetto politico platonico.

Opere
Della produzione platonica ci sono state tramandate un’Apologia di Socrate, 34 dialoghi e 13 lettere; le opere sono state ordinate in nove tetralogie dal grammatico Trasillo, vissuto al tempo dell’imperatore Tiberio. La divisione in tetralogie è la seguente:
1)Eutifrone, Apologia, Critone, Fedone; 2) Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico; 3) Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro; 4) Alcibiade I, Alcibiade II, Ipparco,gli Amanti; 5) Teagete, Carmide, Lachete, Liside; 6) Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone; 7)Ippia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno; 8) Clitofonte, Repubblica, Timeo, Crizia; 9) Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere.
Già Trasillo escluse alcuni dialoghi e una raccolta di Definizioni dalle sue tetralogie; ma, indubbiamente, anche tra le opere comprese nelle tetralogie ve ne sono di spurie. Certamente spuri sono infatti: Alcibiade II, Ipparco,gli Amanti, Teagete, Minosse; solo probabilmente spuri sono: Alcibiade I, Ione, Clitofonte, Epinomide (quest’ultimo è quasi certamente di un allievo di Platone, Filippo di Opunte). Per quanto concerne le Lettere, considerate spurie fino a poco tempo fa, sono ormai attestate autentiche.

Possiamo suddividere cronologicamente le opere in tre periodi fondamentali:

1) Scritti giovanili o socratici (tra 395 e 388): Apologia, Critone, Ione, Lachete, Liside, Carmide, Eutifrone, Alcibiade I, Alcibiade II, Ippia maggiore, Ippia minore, I libro della Repubblica o Trasimaco, Menesseno,Protagora, Gorgia.

2) Scritti della maturità (tra 387 e 367): Clitofonte, Menone, Fedone, Simposio, II-X libro della Repubblica, Fedro.

3) Scritti della vecchiaia (posteriori al secondo viaggio in Sicilia, 367-5): Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico, Filebo, Timeo, Crizia, Leggi (questi ultimi due sono posteriori al terzo viaggio in Sicilia, 361-0). Le lettere VII e VIII sono posteriori alla morte di Dione (353).      

PUBBLICATO IL : 01-11-2005

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