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Alessandra Penna, La costituzione temporale nella fenomenologia husserliana (1917/18 – 1929/34) , Società Editrice Il Mulino, 2007
di Federica Buongiorno

Il libro è il risultato dell’attività di ricerca svolta dall’Autrice nel corso del dottorato in Filosofia  conseguito presso l’Università degli Studi «Sapienza» di Roma, avvalendosi anche di ricerche condotte presso lo Husserl Archiv di Leuven, sino alla pubblicazione a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli. Alessandra Penna prende in esame l’assai complessa questione della costituzione temporale nella fenomenologia di Edmund Husserl in relazione a tre gruppi di scritti husserliani – le Zeitvorlesungen del 1905, i Bernauer Manuskripte (BM) del 1917/18 (editi nel 2001) ed i cosiddetti Manoscritti C del 1929/34 (editi soltanto nel 2006) – evidenziando da un lato le diversità teoriche e linguistiche maturate da Husserl nel corso della sua trentennale riflessione su un tema cruciale per la fenomenologia quale è quello della temporalità, dall’altro sottolineando la forte continuità che, pur nel suo interno sviluppo, ha caratterizzato negli anni quella riflessione.
L’Autrice propone come punto di partenza dell’analisi svolta nel primo capitolo (incentrato sui BM) il fondamentale § 81 di Idee I in cui Husserl definisce quella della temporalità come «una sfera di problemi completamente chiusa»: se ne era infatti occupato specificamente nelle Zeitvorlesungen del 1905 e solo successivamente alle stesse Idee maturerà le riflessioni contenute nei BM e nei Manoscritti C, dalla considerazione dei quali emerge come la sfera relativa al tempo non sia mai stata completamente chiusa da Husserl ma abbia anzi rappresentato, per l’importanza del tema rispetto all’architettonica complessiva della fenomenologia, un ambito di riflessione costante nel corso degli anni. La nozione centrale all’interno delle Zeitvorlesungen era quella di Urimpression come – secondo la definizione husserliana – «punto d’origine con cui ha inizio la produzione dell’oggetto che dura», cui corrispondeva la coscienza assolutamente originaria: essa coincideva pertanto con il nocciolo (Kern) originario e assoluto (non generato e non costituito) della coscienza di tempo, il quale però nel suo apparire risultava già digradato in altro, ovvero nella coscienza ritenzionale. Si poneva così un primo, significativo problema, quello sollevato dalla coincidenza tra il darsi e il venir meno della Urimpression, che rischiava di rendere quest’ultima inesperibile, inficiando la possibilità stessa del darsi (e dell’esperire) il nuovo in modo originario. Nei BM il concetto di Urimpression evolve in quello di Urpräsentation, che indica sempre la datità di una sensazione immodificata originariamente presente ma che qui si pone come punto limite di due atti presentificanti (ritenzione e protensione), senza venir più considerata quale punto d’origine del fenomeno temporale bensì quale risultato di un processo che si snoda a partire da un’ «intuizione anticipante». In altre parole, nei BM assume centralità il ruolo della protensione a scapito di quello rivestito dalla presenza, che perde la posizione privilegiata avuta nelle Zeitvorlesungen: la Urpräsentationè definita come erfüllte Erwartung, dunque l’ora si costituisce nella forma del riempimento protensionale. L’Autrice evidenzia come per Husserl il fenomeno protensionale non sia limitato alla fase del singolo Ereignis che di volta in volta si riempie, ma si estenda anche allo stesso processo ritenzionale: ritenzione e protensione sono strettamente intrecciate nel meccanismo di conservazione dell’oggetto temporale, ma allora (come nelle Zeitvorlesungen) anche qui il punto d’inizio del decorso temporale è di fatto unbewusst e viene alla coscienza solo mediatamente, attraverso la ritenzione. Per superare questa difficoltà Husserl integra il concetto di ritenzione delineato nei BM con la nozione di Abklangsphänomen: mentre le ritenzioni sono modificazioni vuote delle Urpräsentationen, gli Ablklänge sono dati di sensazione effettivamente riecheggianti. Si apre così la possibilità di intendere la ritenzione come un «modo dell’Auffassung dell’Abklang, il cui modo di datità sarebbe quindi ritenzionale» (p. 22): lo stesso dato sarebbe allora contemporaneamente ritenuto e dato come abklingend. In questo modo viene meno la coincidenza tra ritenzione e ritenuto tipica delle Zeitvorlesungen e ciò denuncia già la non perfetta simmetria nel rapporto tra coscienza e hyle, tanto è vero che Husserl – rileva l’Autrice – tende a sottolineare il carattere noetico delle Modifikationen di contro al carattere noematico degli Abklänge. Continua però a permanere il problema della difficile definizione del punto di origine, ovvero del presente inteso come ciò rispetto a cui passato e futuro possono definirsi: nelle Zeitvorlesungen Husserl cercava di fornire una soluzione a tale difficoltà affermando che solo attraverso un’operazione di astrazione, successiva al darsi del processo temporale, diviene possibile individuare in esso un punto che chiamiamo inizio. L’astrazione identificava così il punto-ora ed il suo corrispondente Jetzt-sein, associato alla coscienza originaria immodificata: ne conseguiva che, se la coscienza immodificata è coscienza d’ora, la coscienza modificata è coscienza di sensazione passata e la coscienza stessa si struttura come una ininterrotta serie di ritenzioni. Husserl chiariva peraltro che la coscienza ritenzionale è necessariamente in rapporto di continuità con una precedente impressione originaria o percezione, la quale rappresenta l’assoluto inizio del fenomeno temporale: emergeva così l’ulteriore difficoltà di comprendere come ciò fosse possibile, se nel contempo si affermava che l’ora è solo un limite ideale ricavato per astrazione. Nel 1905 Husserl restava fermo nell’identificare il dato originario con l’ora, che era consaputo ritenzionalmente ma non era inconscio: il dato originario era conscio in quanto ora, ma senza essere oggettuale. La situazione cambia nei BM, dove Husserl introduce la nozione di Postpräsentation in rapporto alla ritenzione e identifica il dato originario non più con l’ora bensì con l’esser passato, ovvero con la modificazione dell’ora come esser stato: in altre parole, egli estende all’appena stato lo statuto dell’originarietà ma così facendo, rileva l’Autrice, il problema viene solo spostato di ambito. Nemmeno il riferimento (comune a Zeitvorlesungen e BM) alla rimemorazione appare risolutivo: se la rimemorazione non può prescindere nel suo darsi né dalla ritenzione né dall’impressione e costituisce una quasi-percezione la cui funzione è quella di rendere bewusst la vita di coscienza, è pur vero che nel suo ridestare il passato essa non ci offre alcuna garanzia di restituircelo così come era, poiché tra rimemorazione e impressione c’è una cesura o quanto meno un riferimento indiretto (attraverso la ritenzione).
Il secondo capitolo del libro è dedicato al rapporto «tra costituente e costituito» nei BM, a partire dall’identificazione operata da Husserl, come già nelle Zeitvorlesungen, tra flusso e coscienza di tempo: subito l’Autrice rileva criticamente come all’interno di questo perenne fluire Husserl sia di nuovo costretto a porre un «a partire da cui» il movimento acquisti un senso, così da reintrodurre il problema dell’ora attuale. Egli attribuisce al tempo come forma degli obiettivi tratti temporali un carattere fisso e non fluente, mentre l’ora è definito come fluente insieme a tutte le modalità temporali: il tempo come umfassende Form risponde proprio all’esigenza di ammettere un elemento fisso in funzione del quale porre il fluire, ma a tale scopo è necessario anche che vi sia una coscienza di sé della coscienza come fluente, poiché altrimenti non sapremmo nulla del fluire stesso. A questo punto si presenta un ulteriore, radicale problema: l’Autrice si chiede se possiamo effettivamente intendere la soggettività assoluta come un flusso costituente, se cioè non rischiamo – così facendo – di indicarla come qualcosa di descrittivamente esibibile come flusso, così da farle ricevere una qualche forma di oggettivazione, riconoscendola come costituente ma ponendola nel contempo come costituita. In effetti, Husserl ricorre al concetto di riflessione per dar conto del flusso e della coscienza del flusso, e la riflessione per definizione rende oggetto ciò su cui si esercita, riconducendolo ad un costituito: nella forma della modificazione attenzionale, la riflessione degrada lo Urstrom a vero e proprio oggetto (costituito) e nel contempo si presenta essa stessa come un’operazione fenomenologicamente problematica. Come può, infatti, la riflessione – in quanto accada nel tempo – dirigersi proprio su quel che dovrebbe stare all’origine del tempo e ricomprenderlo come suo oggetto? E’ evidente che la coglibilità del flusso in quanto autocoscienza ne obiettiva il carattere e lo rende un costituito. La questione peraltro non appare più semplice sul piano dei dati iletici, dove si pone il problema del regresso all’infinito, per scongiurare il quale Husserl ricorre al tentativo di porre il flusso stesso, in virtù della sua costituzione essenziale, come ciò che costituisce la sua propria unità: il flusso stesso sarebbe allora coglibile nella sua auto-apparizione e nel suo costituirsi come fenomeno. In tal senso il flusso è effettivamente posto come costituente e insieme come costituito, ma è chiaro che i due piani non possono coincidere perfettamente e alla fine Husserl, per evitare di nuovo il rischio del regresso infinito, è costretto a postulare al di sopra del flusso una coscienza ultima, caratterizzata come incoscia: l’ammissione di una tale coscienza è però un problema fenonemenologico assai rilevante, nel senso che fenomenologicamente essa non potrebbe darsi, essendo unbewusst, contraddicendo radicalmente il principio di tutti i principi.
La questione si ripropone nei Manoscritti C, che vengono presi in esame nel capitolo terzo: l’Autrice precisa che qui Husserl adotta una nuova terminologia ma non attua una vera e propria frattura rispetto alle riflessioni precedenti, quanto piuttosto una loro radicalizzazione. Innanzi tutto Husserl ricorre ad una nuova riduzione, quella alla lebendige Gegenwart, definita come la riduzione più radicale, che apre l’accesso alla temporalizzazione originaria. Va però chiarito di quale tipo di riduzione si tratti: da un lato infatti essa è definita da Husserl come la più radicale, dall’altro viene identificata con la riduzione fenomenologico-trascendentale. L’obiettivo è evidentemente quello di svelare nella sua originalità quel tempo che sta alla base di ogni ulteriore apparire fenomenico, ma allora – si chiede l’Autrice – perché parlare di Gegenwart (presente), che esclude l’orizzonte temporale nel quale ogni fenomeno originariamente si dà e non pare perciò identificabile con il campo di manifestazione originaria del fenomeno? Penna ritiene che la riduzione alla lebendige Gegenwart risponda all’esigenza di portare l’analisi su un terreno di evidenza apodittica: il riferimento è alle Meditazioni cartesiane, dove Husserl definisce l’evidenza apodittica come assoluta inconcepibilità del non essere, ovvero come quell’assoluta indubitabilità che, sul piano della sfera fenomenologica temporale, appartiene alla forma temporale immanente del flusso dei vissuti. In altre parole, è inconcepibile il non essere della struttura data dall’intreccio di ritenzione e protensione, ma allora ci troviamo di fronte alla difficoltà di ammettere un elemento di non-essere all’interno di una struttura in sé assolutamente indubitabile. L’Autrice chiarisce che ci troviamo di fronte ad una grave alternativa: quella tra apoditticità (e dunque scientificità) del fenomeno e sua manifestatività, che sembrano escludersi vicendevolmente. Il problema può essere riformulato in questi termini: «il presente vivente è un presente ridotto alla sua fase di presente o invece non può prescindere da un orizzonte che è parte costitutiva della sua struttura?» (p. 89). La questione è complicata peraltro dal fatto, riconfermante la difficoltà nella quale ci troviamo, che per Husserl la riduzione conduce ad un «presente fluente concreto», in cui la concretezza intesa come l’interezza della struttura (come l’unità delle fasi entro l’orizzonte temporale) mal si concilia con il carattere del fluire, che implica sempre una certa distinzione delle fasi. La nozione di concretezza accentua il carattere del presente come orizzonte, quella di fluire ne accentua invece la distinzione in fasi: Husserl precisa allora che il presente fluente vivente non fluisce nel senso in cui fluiscono il flusso di coscienza o i nostri vissuti. Già nelle Zeitvorlesungen e nei BM egli parlava di un flusso come di un Bild e affermava che si può parlare di presente in un duplice senso, come impressione istantanea (che è il prodotto di una pura astrazione) e come presente concreto (che è invece un durare). Quest’ultima accezione di presente implica un rapporto di continuità tra impressione originaria e ritenzione e consiste nel continuo passaggio dalla Urimpression alla ritenzione, passaggio nel quale si produce una Einigung tra impressione e ritenzione sia a livello complessivo (Totaleininug) che a livello particolare: quel che bisogna ora chiedersi è se tale struttura sia conciliabile con la lebendige Gegenwart. A questo punto, Husserl assimila i concetti di konkret strömende Wahrnemung-gegenwart e Kerngegenwart, ma ciò porta a chiedere come sia possibile che il Kern in questione possa avere un carattere strömend senza che ciò rimandi ad un esplicito Nacheinander: ciò è possibile, secondo Husserl, in quanto tale Kern si presenta come contemporaneamente fortströmend (teso verso il futuro)e verströmend (defluente in senso ritenzionale), così che l’originario viene a coincidere con la Kerngegenwartin quanto urphänomenale zweiseitige Horizont. In questo modo, però, si ripresenta un problema noto: se l’orizzonte è urphänomenal solo in quanto riferito a un nocciolo di presente, ciò che dovrebbe apparire per primo può apparire come tale solo in riferimento a qualcosa che è pensabile come Kern unicamente in virtù, ancora una volta, di un’operazione di astrazione, la quale resta una modalità non propriamente fenomenologica. Il presupposto di questo rilievo da parte dell’Autrice è la convinzione che la riduzione alla lebendige Gegenwart non sia una vera riduzione. Continua infatti a presentarsi come inaggirabile la difficoltà di considerare il presente come un Kern ottenuto per astrazione dal concreto presente: se da un lato questo concetto di un nocciolo di presente potrebbe soddisfare le esigenze di apoditticità richieste dalla radicale riduzione messa in campo da Husserl, dall’altro permane l’oscillazione tra questa nozione di presente e quella di un presente come orizzonte, che garantisce la manifestatività del fenomeno perdendo però l’aggancio all’indubitabilità apodittica. Certamente a questo punto della sua riflessione Husserl dà per acquisito che il presente come strömend e lebendig rappresenti il fenomeno originario ed utilizza come sinonimo di lebendige Gegenwart l’espressione nunc stans, che viene equiparato al fluire in quanto anch’esso stehend: il fluire è pertanto il presente e tanto il fluire quanto il presente sono stehend, ovvero permanenti come processo. Il presente è un processo permanente, fisso, continuo, a cui appartiene un fluire che è esso stesso stehend: ad essere strömend è la forma riempita, che coincide con lo Urphänomen. Il dato originario è quindi il fenomeno concreto, riempito e non la forma del presente per sé sola considerata: la forma è per sé stehend e solo in quanto riempita si rende strömend. Sembra così insorgere una nuova difficoltà, quella di considerare la coscienza al tempo stesso come un flusso e come una struttura che, in quanto beständige Form, si configura come immobile: l’analisi richiede, a questo punto, di essere allargata alla considerazione dei diversi livelli della temporalizzazione.
Nel quarto e ultimo capitolo della sua complessa ricerca, dedicato appunto ai livelli di costituzione, Penna affronta proprio il problema della Zeitigung, termine con cui Husserl intende «la costituzione dell’essente secondo modalità temporali» (p. 119), ovvero il fluire come imposizione all’essente di certe modalità temporali: dal momento però che anche il costituente si dà a sua volta secondo modalità temporali, s’impone una distinzione tra tempo temporalizzato e tempo della temporalizzazione, precisando con Husserl che si danno un Ur-ich ed una Ur-zeitigung in cui si costituiscono, temporalizzandosi, quell’io e quel tempo che sono invece costituiti. La questione viene affrontata a partire dalla nozione di tempo mondano (inteso come quel tempo ottenuto in seguito alla riduzione fenomenologico-psicologica teorizzata da Husserl nella Krisis), che – sul piano del flusso degli Erlebnisse immanenti – pone il problema del rapporto tra il flusso come ciò in cui gli Erlebnisse si dispongono e si danno, e gli Erlebnisse stessi nel loro apparire come fluenti. Husserl afferma che l’Urphänomen del fluire è il fenomeno di tutti i fenomeni, ovvero di tutto ciò che per noi è in qualche senso: egli scrive che «il flusso originario della lebendige Gegenwart è la temporalizzazione originaria nella quale ha sede l’origine ultima del mondo spazio-temporale e della sua forma della spazio-temporalità» (p. 128), ma l’Autrice si domanda se la riduzione radicale al presente vivente possa davvero esser letta come riattivazione di un inizio originario, della fonte del senso. Qui Husserl attribuisce il grado di fenomeno originario sia al flusso che al presente vivente, legando ancora una volta tale fenomeno originario al tema dell’inizio, al problema di come qualcosa entri nell’ambito della coscienza: come si è visto, già nei BM la questione dell’inizio richiamava quella della hyle e nei Manoscritti C essa si specifica come il problema dello statuto della lebendige Gegenwart. Husserl ricorre alla equiparazione dello Strömen con il flusso vivente pretemporalizzante, introducendo il concetto di una Vor-zeit che, nel suo Vor-sein, è inesperibile e indicibile (pena la sua oggettivazione): a questa pre-temporalizzazione viene attribuita una intenzionalità passiva, dalla quale conseguirebbe però una inoggettivabilità di ciò che mediante essa dovrebbe costituirsi. L’attività dell’io si esercita su pre-datità passive che divengono così oggetti di coscienza: ciò significa però che, di nuovo, solo in virtù di una operazione riflessiva possiamo dirigerci su un atto e sulla sua temporalizzazione immanente, e solo così tale atto non resta inoggettivato. In tal modo oggettiviamo ciò che oggettuale non era, lo tematizziamo, ma così facendo perdiamo irrimediabilmente il carattere (fenomenologicamente essenziale) dell’ursprünglich. Nei Manoscritti C Husserl attribuisce alla materia un carattere attivo, un’attività che afferma venire trasformata in passività secondaria: la materia si delinea dunque per negazione delle caratteristiche dell’io, ad eccezione dell’attività. Questa si modifica in passività secondaria, che è una produzione della ragione: essa consiste nella trasformazione dell’attività dello spirito in passività in grado, poi, di creare le pre-datità su cui si eserciteranno le future azioni dell’io. La domanda che si pone è se tali pre-datità posseggano già un senso, un senso cioè non conferito loro dall’attività dell’io: è in gioco, a parere dell’Autrice, un’autonomia di campi, ovvero della hyle rispetto alla capacità d’azione dell’io. Il problema investe «la possibilità di considerare ciò che si costituisce sulla base dell’intenzionalità passiva come un’unità selbständig, indipendentemente e quindi prima di ogni apprensione» (p. 157). Rispetto alle Idee, nei Manoscritti C l’intervento dell’io affinché l’elemento iletico acquisti un essere vero e proprio non è più inteso come necessario ma come secondario: Husserl definisce i dati iletici ich-fremd e così facendo li pone in un’opposizione insuperabile con l’attività dell’io. Al tempo stesso, egli pretende che tali dati vadano incontro alla temporalizzazione sulla base di una reciprocità d’azione tra io e hyle, tra azione ed affezione, che nelle intenzioni di Husserl dovrebbe annullare la priorità di un piano sull’altro: la difficoltà si compendia nel rapporto tra Ur-ich e presente vivente. Il terreno di apoditticità richiesto dalla riduzione radicale dovrebbe esser dato dall’Ur-Ego trascendentale, inteso come presente concreto urlebendig: in tal senso si registra un passaggio dall’io originario come fondamento di senso al suo aver essere, ovvero alla sua oggettivazione. Ciò implica il riaffiorare della contraddizione consistente nel render conto di un elemento costituente, che viene reso nel contempo un costituito: già nei BM  Husserl scriveva che a rigore l’io non si dovrebbe affatto chiamare, poiché chiamandolo lo si rende oggettuale. L’anonimità era il prezzo che l’Ur-ich pagava per restare Urphänomen e nei Manoscritti C quel prezzo emerge come la contraddizione radicale che la fenomenologia husserliana si trova a dover scontare, avendo Husserl cercato in ogni modo di superarla nel corso della sua trentennale riflessione, arricchendo l’analisi di sempre nuovi elementi ma senza riuscire – a parere dell’Autrice – ad eludere la difficoltà per cui ciò che consente al mondo di apparire come tale si sottrae al tempo stesso alla presa della coscienza, originando un vero e proprio scacco fenomenologico.



PUBBLICATO IL : 12-06-2008

 

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