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Franco Ferrari, Socrate tra personaggio e mito , Bur, 2007
di Giorgia Castagnoli

Il mito di Socrate pervade l’intera storia della filosofia, dalla Grecia antica ai giorni nostri, e l’immagine del pensatore ateniese che interrogava i suoi concittadini invitandoli a ricercare la virtù -«Poi vi dico che proprio questo è per l’uomo il bene maggiore, ragionare ogni giorno della virtù e degli altri argomenti sui quali m’avete udito disputare e far ricerche su me stesso e sugli altri, e che una vita che non faccia tali ricerche non è degna di essere vissuta» (Platone, Apologia, 38 a)- è divenuta il paradigma del filosofo per eccellenza.
Questo libro, senza pretendere di risolvere la vexatissima quaestio socratica individuando in maniera univoca il vero Socrate storico, prende atto dei diversi ritratti socratici antichi (come il “Socrate cinicheggiante” d’epoca ellenistica, quello “pitagorico” dei medioplatonici, quello “stoico” e quello “cristiano” per non citare che i più noti), e da questo dato parte la sua indagine, radicata nella convinzione che «se la grandezza di un pensatore viene misurata dalla ricchezza e dalla complessità delle interpretazioni cui ha dato origine, Socrate è stato un pensatore straordinario» (p. 17).
Dunque Ferrari abbraccia l’idea che «intorno a Socrate, esiste solo un vedere prospettico, che invita a lasciare parlare quanti più occhi differenti è possibile, senza pretendere di attingere a un’entità irraggiungibile» (p. 18); la sua analisi decide allora di perseguire due obiettivi più o meno espliciti: rileggere criticamente i testi, prevalentemente platonici, e dare una panoramica chiara e concisa del dibattito storiografico contemporaneo, mediante preziose indicazioni di carattere bibliografico.
Per comprendere l’opera di Ferrari bisogna situarla all’interno di una tradizione di studi filosofici di carattere antichistico che, soprattutto per quanto riguarda la storiografia socratica, ha avuto nell’Italia del secolo scorso  un notevole sviluppo: Socrate è divenuto il paradigma del filosofo per eccellenza, e ha fatto da “portabandiera” alle più diverse correnti di pensiero filosofico e politico.
Eugène Dupréel, con il suo libro La legende socratique, del 1922, mise in dubbio l’esistenza storica di Socrate, ipotizzando fosse un meraviglioso personaggio letterario: per rispondere a questa provocante ipotesi gli studi, nell’ambito della storia della filosofia, si sono moltiplicati. Inoltre, con l’avvento in Europa dei regimi totalitari, l’idea di saggezza e tranquillità dell’animo che Socrate ispira ai lettori dei suoi dialoghi, nonché il suo costante impegno dialogico, venivano sentiti come valori fondamentali da promuovere in un momento storico tanto oscuro. Negli studi socratici italiani della prima metà del Novecento possiamo riscontrare la forte tendenza a “lasciarsi sfuggire” talvolta un accenno, un paragone, un’esclamazione, che operi un immediato collegamento tra la situazione di Socrate nell’Atene del V secolo e la più viva contemporaneità, mediante richiami di carattere prevalentemente socio-politico. Parlare di un pensatore che risvegliava la coscienza morale e costringeva gli uomini a misurarsi con una ragione critica era un messaggio molto forte nell’Italia fascista, in cui il libero dialegesthai era fortemente ostacolato dalla limitata libertà di parola, di stampa e di associazione.  Trasmettere i valori della tolleranza e della convivenza pacifica  in un momento in cui predominava la xenofobia e le leggi razziali erano all’ordine del giorno, era un mezzo per risvegliare il pensiero critico al fine di perseguire un agire autonomo. 
E se Socrate era un “faro” di luce in mezzo a tale oscurantismo, negli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra, quelli cioè della ricostruzione di un paese lacerato dai conflitti sociali e civili, diviso tra la volontà di una giustizia di tipo vendicativo e la voglia di relegare il passato nell’oblio, l’Ateniese ritornava ad essere una figura viva e attuale, un maestro da seguire, per il candore morale e l’attitudine “spirituale” che sembrava provenire dalla sua persona, e per l’apertura che egli mostrava nei confronti degli altri. 
Un altro dato, generalissimo, che si presenta al lettore di storiografia socratica tout court è la forte tendenza che si riscontra in alcuni di questi autori ad avvicinare, mediante parallelismi e distinzioni, la figura di Socrate a quella di Gesù Cristo: possiamo perciò considerare questo punto come uno spartiacque che ci porta a una prima classificazione.
Possiamo allora individuare un filone interpretativo che si basa su una lettura di tipo “cattolico”, e uno invece di orientamento laico, che, valorizzando il dinamismo di una ricerca che si svolge in un orizzonte rigorosamente terreno, presenta una forte tendenza critica e dialettica.
Sulla prima linea di tendenza interpretativa, quella di stampo religioso, possiamo collocare, oltre al Socrate di Giuseppe Rensi, quello di Michele Federico Sciacca, che ne valorizza profondamente l’intuizione metafisica, e i ritratti socratici di Piero Martinetti e di Carlo Mazzantini, che, pur nelle loro divergenze, mostrano come la metafisica di Socrate non sia solo una vaga intuizione, ma proprio la sua più profonda fede e il suo più grande merito: quello di comunicare al mondo intero l’esistenza nell’uomo di un “principio trascendente” a cui tendere.  In tutti questi autori l’analisi dell’ironia socratica si rivela essenziale per comprendere l’atteggiamento di Socrate davanti alla realtà fattuale e la sua spinta ad aprire nella coscienza individuale una più profonda consapevolezza della dimensione spirituale dell’uomo. In questo filone di pensiero possiamo inserire anche Ernesto Buonaiuti, che, sulla scia dell’interpretazione di Maier, tende a fare dell’insegnamento di Socrate un vero e proprio “Vangelo avant la lettre”. 
La lettura laica, in cui possiamo forse inserire anche Giuseppe Tarozzi, ha i suoi più grandi interpreti in Antonio Banfi e Guido Calogero, per i quali i punti essenziali della filosofia socratica sono la scoperta della coscienza morale umana e della sua problematicità, la capacità critica e la ricerca dialettica condotta da una mente razionale. L’aspetto essenziale di questi due ritratti socratici è il dinamismo di una ricerca, senza la quale la vita umana non sarebbe degna di essere vissuta, che, senza temere di incorrere nell’aporeticità nascosta sotto molti dogmi accettati passivamente, scava nel profondo degli animi e si costituisce nell’apertura al dialogo con l’Altro.     
La possibilità di esprimere le proprie idee, mettendole alla prova mediante un serio confronto col punto di vista degli altri, dovrebbe essere la base per garantire la validità della ricerca della verità a cui tutti gli uomini dovrebbero tendere, ma questa poggia inevitabilmente sulla libertà di ogni individuo di pensare, di criticare, di comunicare con gli altri.
Questa libertà, che invade la dimensione esistenziale, morale e politica di ogni individuo, è ciò che dà luce, nel triplice senso di illuminare, nutrire, e rendere possibile, il libero pensiero, luce che nessuna autorità politica può spegnere: questo è ciò che Socrate coraggiosamente dice ai giudici ateniesi nel corso nella sua difesa, e questo è forse uno dei motivi per i quali egli si ripresenta in maniera così pregnante nella riflessione di alcuni di questi  intellettuali che operarono sotto il regime fascista e subito dopo la sua caduta.
Tornando ora al Socrate di Franco Ferrari, consapevoli delle innumerevoli sfumature prospettiche nella presentazione del “proprio” Socrate, osserviamo che alla, più che lecita, domanda, perché il suo ritratto socratico viene coniato per lo più sulle indicazioni di Platone, egli risponde, dimostrando una rara onestà intellettuale, che «il Socrate di Platone è semplicemente quello più interessante dal punto di vista filosofico, quello più ricco, e soprattutto quello che consente la ricostruzione di percorsi filosofici più stimolanti» (p. 18).
Il libro ha un evidente fine didattico, poichè si costituisce come un’opera estremamente chiara, che ha il pregio di riuscire a spiegare, in maniera sintetica ma esauriente, i nodi tematici della speculazione filosofica socratica, come i rapporti tra il cittadino e la legge, il valore dei saperi tecnici, la ricerca della virtù, il metodo dialettico, il raggiungimento dell’eudemonia: problemi su cui sono stati spesi fiumi d’inchiostro nei secoli.
Questo lavoro è strutturato con un’ampia Introduzione, dal titolo Socrate e la filosofia, divisa in nove paragrafi tematici: 1. L’enigma di Socrate:il filosofo e le sue immagini; 2. L’evento dirompente: processo e morte di un filosofo;  3. Lo spazio “politico”: critica sofistica e meta-critica socratica; 4. La comunicazione filosofica; 5. Il soggetto del discorso: l’anima; 6. Virtù e sapere: l’intellettualismo socratico; 7. I saperi (tecnici) e il sapere (etico): valore e limite del paradigma tecnico; 8. Il metodo della filosofia: ironia, ignoranza, confutazione, maieutica; 9. Socrate e Platone: ovvero l’aporia e l’euporia?. Segue la Cronologia della vita di Socrate ed una ricca ed aggiornata Bibliografia. Poi si apre la parte antologica, divisa in quattro sezioni: A. L’uomo e la città; B. I saperi e il sapere; C. La filosofia e i suoi percorsi; D. La virtù, il bene, la felicità. Ogni sezione è composta da un insieme di testi, tratti da Platone, Senofonte ed Aristofane, preceduti tutti da una spiegazione del brano, che viene perciò contestualizzato, e dalla segnalazione dei più importanti studi critici ad esso relativi.
Può essere interessante notare il fatto che Ferrari consideri le testimonianze di Aristofane e di Senofonte come tra loro opposte; egli scrive infatti: «Non c’è dubbio, ad ogni modo, che il Socrate di Senofonte costituisca l’antitesi speculare di quello di Aristofane» (p. 92).
L’immagine di Socrate che si può ricavare dalla lettura dell’esilarante commedia aristofanesca Le Nuvole è infatti una figura a metà tra i fisiologi o filosofi della natura e i sofisti. Egli infatti, nel suo Pensatoio, spiega a Strepsiade che «nell’aere spazio il sole squadro» (Nuvole, 225), poi venera le Nuvole come fossero divinità ed infine insegna a far vincere le cause anche ai discorsi più deboli, con le sue “chiacchiere a pagamento”. Il ritratto ovviamente è esagerato tanto da renderlo caricaturale, tuttavia la satira diviene tale nella somiglianza con l’oggetto preso di mira; inoltre non bisogna dimenticare che Aristofane è per noi la più antica fonte socratica, e la sua influenza “negativa” sull’opinione dei contemporanei viene riconosciuta anche dallo stesso Socrate nell’Apologia platonica.
Ben diversa è l’immagine che possiamo rinvenire grazie alle pagine di Senofonte, che si preoccupa invece, dopo molti anni dalla morte di Socrate, di tramandare la sua memoria, in radicale opposizione alla nota satira di Aristofane. Egli perciò «lo descrive come il prototipo del cittadino perbene, perfettamente integrato nei valori e nelle pratiche della città»: tende quindi a presentarci un uomo pio, fedele alla religione della polis, interessato unicamente a problemi etico-morali, non alle speculazioni sulla physis, che erano state vietate col decreto di Diopide del 432 a.C.
L’opera di Ferrari sembra muoversi sulla scia dell’interpretazione socratica di Gabriele Giannantoni, tra i maggiori studiosi italiani di Socrate nella seconda metà del Novecento; i suoi studi, com’è noto, hanno prodotto, oltre ad una serie di monografie e articoli di notevole interesse, l’opera Socratis et socraticorum reliquiae, raccolta di tutte le testimonianze antiche concernenti la figura di Socrate e dei cosiddetti filosofi socratici, giudicata da Ferrari uno strumento ancora oggi «fondamentale» (p. 88) per affrontare la questione socratica.
Possiamo scorgere una certa somiglianza tra la figura di Socrate disegnata da Franco Ferrari e quella messa in luce da Gabriele Giannantoni: entrambi tendono infatti a porre l’accento sul valore della ricerca in se stessa e sulla fondamentale portata del metodo socratico, che procede mediante l’interrogazione, l’esame e la confutazione delle false credenze, nel continuo  dialogo con i suoi interlocutori.
Il lato critico dell’indagine socratica diviene caratteristico della sua stessa filosofia, e si lega indissolubilmente ad una riflessione di tipo morale che si raggiunge solo attraverso lo scambio dialogico con l’Altro.
Questi tratti costitutivi della filosofia socratica, che Ferrari mette bene in evidenza, ci riportano alla memoria altri due ritratti di Socrate, già ricordati in precedenza e che potrebbero aiutare a rendere ancor più ampio lo spettro di analisi: il Socrate di Antonio Banfi e quello di Guido Calogero.  
Se Ferrari considera infatti Socrate «non un insegnante, ma un ricercatore» (p. 28), Antonio Banfi, nella sua monografia del 1943, sottolineava proprio la “mancanza di scholé” come caratteristica fondamentale di questo “intellettuale anti-intellettualista” che non dispensava schemi dottrinali ma giocava, o si prendeva gioco, attraverso l’alternanza di serietà ed ironia, di tutti, al fine di richiamarli a riconoscer se stessi, a rendersi conto del senso e della ragione del loro agire, a formare se stessi nel vivo continuo senso critico della propria responsabilità. Egli individuava proprio nel segno del “rendere conto” l’essenza della missione di Socrate: dare e darsi ragione delle proprie scelte etiche, dei comportamenti nel vivere civile e quotidiano, e cominciare ad indagare sulla verità delle proprie credenze e sul proprio sistema di valori.
In Guido Calogero, maestro di Gabriele Giannantoni, l’opera socratica appare sempre strettamente legata alla dimensione dell’oralità, perché avviene nel momento dell’interrogazione, ovvero nel momento in cui Socrate, che si presenta qui nella sua veste maieutica, sprona gli altri a riflettere in maniera autonoma sull’ethos della società. Rispettando la “legge morale” che pone il dialogo per brevi domande e risposte (kata brachy dialegesthai) a “regola aurea nella condotta di vita”, egli auspica che ciò porti gli interlocutori a raggiungere, punto per punto, l’accordo, per poi proseguire la ricerca, nella ferma convinzione che ciò coincida esattamente con il sommo bene.  
La lezione di Banfi e di Calogero non è stata dunque dimenticata, ma sembra ritrovarsi nell’interpretazione di Ferrari, che tende inoltre ad enfatizzare il valore di quella sapienza umana (anthrôpinê sophia) «che costituisce per Socrate l’unica forma di conoscenza da lui (e dagli uomini) veramente raggiungibile; una sapienza, che proprio perché umana, è anche automaticamente dialogica, ossia raggiungibile attraverso il dialogo (e i suoi strumenti) e ancora nel dialogo soggetta a venire messa in discussione ed eventualmente sostituita da un’altra conoscenza, dotata delle sue stesse caratteristiche di provvisorietà e confutabilità» (p. 58). 
Ferrari mette in luce il fatto che la dialettica socratica si caratterizza in modo fortemente diverso da quella platonica per la sua natura contestuale, ovvero per il fatto che il discorso sia modellato ad hominem e che miri ad instaurare l’accordo (homologia) tra i dialoganti, che costituisce una buona garanzia di verità nel corso dell’indagine intrapresa. Per Socrate ogni anima richiede un percorso educativo peculiare, specifico, non generalizzabile, «viceversa, la dialettica platonica, così come viene teorizzata nel Fedro e soprattutto nei libri centrali della Repubblica, e nel Sofista, presenta un andamento fortemente oggettivo, in larga misura sganciato dal contesto situazionale del dialogo; il processo di rendicontazione delle ipotesi (logon didonai) assume in Platone una dimensione oggettiva, che rende i risultati raggiunti validi in termini assoluti, cioè indipendentemente dalla variabilità del contesto» (p. 65). Questo “superamento” dialettico dalla sfera soggettiva a quella oggettiva viene operato dalla filosofia platonica mediante il ricorso alla teoria delle idee, di carattere ontologico-metafisico, e al concetto di reminiscenza nel campo epistemologico: al contrario, Socrate secondo Ferrari «sembra limitarsi a concepire l’ambito degli universali come occupato da proprietà comuni (ta koina) di cui il filosofo dovrebbe essere in grado di fornire la definizione, rispondendo alla celebre domanda ti esti, che cosa è?» (p. 66).
Altro punto chiave della bella Introduzione di questo volume è la concezione della filosofia socratica come pratica filosofica, come un “vivere” prendendosi cura della propria anima, come una sorta di “terapia” che mira al raggiungimento dell’eudemonia, vista nel significato, propriamente greco, di «uno stato di benessere oggettivo, nel quale l’uomo vede realizzarsi tutte le proprie potenzialità» (p. 42).
Il fatto di concepire il suo insegnamento filosofico come un bios, ovvero come un insieme coerente di pensiero teoretico-morale ed azione pratica, che miri alla conoscenza della propria anima (secondo l’equivalenza tra l’uomo e la sua anima stabilita da Socrate nell’Alcibiade I: hê psychê estin anthrôpos), porta ad esaltare il valore terapeutico e spirituale della sua filosofia, che viene infatti poi ripresa dalle filosofie di stampo ellenistico che vedranno, non a caso, proprio in Socrate un ideale padre fondatore.
A tal proposito Ferrari nella parte antologica inserisce un lungo estratto dell’Alcibiade I (128 A-134 E): il dialogo, la cui autenticità appare oggi piuttosto incerta, era molto noto nell’antichità, ed era particolarmente amato dai neoplatonici (fu infatti commentato da Proco, Damascio e Olimpiodoro). In esso si trova l’affascinante, quanto enigmatica, teoria dello specchio: il processo di autoconoscenza si realizza quando l’anima “si guarda allo specchio”: come l’occhio per guardare se stesso deve guardare dritto nella pupilla di un altro occhio, ovvero nella parte in cui risiede la vista, sua funzione primaria, così l’anima per conoscere se stessa deve guardare la parte più divina di un’altra anima, ovvero quella «parte dell’anima che ha somiglianza con il divino: chi fissa lo sguardo su di essa ha piena coscienza del divino, intelletto e pensiero, e così potrà avere anche completa conoscenza di se stesso» (p. 182). Ferrari, nell’introdurre il brano, dà conto delle due principali interpretazioni a cui esso ha dato adito: quella “neoplatonica” che vede nell’anima dell’uomo la presenza di un dio, e quella “dialettico-antropocentrica” che pone l’accento sul carattere non solipsistico del processo d’introspezione che può avvenire solo mediante la conoscenza di un’altra anima.
La conoscenza si presenta sempre come il requisito fondamentale per l’azione retta, che è volta, secondo l’assioma eudemonistico, alla felicità e al bene: «Chi commette ingiustizia o si comporta senza moderazione, lo fa a causa di un deficit epistemico, vale a dire perché non sa che cosa sia la virtù» (p. 45): è per questo che Socrate diviene attuale: egli ci apre la strada alla vera conoscenza di noi stessi, anzi, della parte migliore di noi ovvero la nostra anima. 
Il comportamento, esemplare, di Socrate si pone dunque come un fare filosofico, ovvero come «una riflessione che prima di tutto mette in discussione se stessa, le proprie modalità di costruzione  del sapere e dell’oggetto intorno a cui il sapere verte; che non assume nulla per dato, che cerca di ricostruire sempre i presupposti non indagati di ogni opinione, di ogni presunta certezza; ma che accompagna lo spirito critico e tendenzialmente demolitore del razionalismo illuminista con l’ambizione di ricostruire un orizzonte normativo universalizzante, al quale l’uomo possa appoggiarsi per realizzare pienamente il proprio essere e, in questo modo, acquisire la felicità» (p. 68) conclude Ferrari.



PUBBLICATO IL : 12-06-2008

 

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