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Valerio Verra, Su Hegel , Il Mulino, 2007
di Massimiliano Biscuso

Rileggere tutti insieme i ventun saggi apparsi in oltre un trentennio su riviste, atti di convegno e volumi collettanei, tenendo a mente che nella raccolta curata da Claudio Cesa non rientrano i lavori maggiori (dalla laterziana Introduzione a Hegel, al capitolo dedicato al filosofo tedesco in Questioni di storiografia filosofica, alle introduzioni all’antologia La filosofia di Hegel e alla traduzione dei primi due volumi dell’Enciclopedia da lui stesso realizzate), né qualche lavoro minore, ma non per questo poco significativo (come, ad esempio, Immaginazione trascendentale e intelletto intuitivo, nel volume Hegel interprete di Kant), dà l’idea del fondamentale contributo che Valerio Verra ha dato alla ricerca hegeliana in Italia, e non solo. E permette di cogliere quale sia stata la caratteristica specifica e quali gli interessi di Verra nell’interpretare il filosofo tedesco.
Questi scritti confermano dunque che Verra fu non solo un importante storico della filosofia ma anche un eccellente insegnante, per la capacità di far comprendere i testi filosofici senza nulla concedere alla semplificazione delle loro difficoltà. E studioso e insieme docente egli volle essere, e tale si dichiarò sempre. Quando Verra, alla fine di qualche impegnativa lezione che teneva ai perfezionandi di filosofia, ormai oltre venti anni fa, nella grigia biblioteca della vecchia facoltà di Magistero di via Magenta in Roma, ci confessava sorridendo di essere soltanto uno storico della filosofia, noi credevamo di cogliere in quelle parole un’ironica dichiarazione di modestia, al più un modo per schermirsi. Ma destinatari di tali dichiarazioni non eravamo soltanto noi studenti, perché anche ai suoi colleghi diceva le stesse cose, che dovevano suonare ironiche soprattutto a chi coltivava ambizioni teoretiche. Gianni Vattimo ricorda come in un convegno Verra si fosse definito «uno zoologo, non un animale» (Un filosofo piemontese, in “La Stampa”, 24 giugno 2001); battuta che, come tutti i motti di spirito ben riusciti, è felicemente ambigua, indicando tanto il rispetto e l’ammirazione verso i filosofi che gli sembravano degni oggetti di studio, quanto la superiorità di chi osserva, col disincanto derivatogli dalla fede cattolica, i difficili, ma in fondo vani, tentativi di coloro che si sforzano di cogliere il vero per mezzo della sola ragione. Di qui la predilezione per un autore come Jacobi, che aveva studiato a lungo e con importanti risultati, e nell’atteggiamento del quale forse più che in ogni altro si riconosceva, per la convinzione degli esiti inevitabilmente nichilistici della esasperazione della logicità interna alla stessa razionalità e insieme per la coerenza che pure esigeva dal discorso filosofico.

Se non è facile cogliere, rileggendo gli scritti di Verra dedicati a Hegel, la silenziosa presa di distanza dal suo oggetto di studio, è agevole tuttavia riconoscergli il merito di essere tra i più importanti storici del pensiero hegeliano che l’Italia abbia avuto nella seconda metà del Novecento. La maggior parte dei saggi qui raccolti ha per oggetto un tema, che per lo più viene esposto sia diacronicamente, dagli esordi filosofici jenesi fino alla matura sistemazione berlinese, sia sincronicamente, seguendo l’articolazione del sistema. La perfetta padronanza dell’argomento, compreso il contesto culturale, e la sicurezza con cui dominava la letteratura critica, da quella ottocentesca alla più recente, richiamata solo nei contributi veramente utili al lettore e mai per sfoggio di erudizione; la chiarezza della scrittura e l’insistenza nel richiamare gli snodi più importanti del pensiero hegeliano preso in esame, richiamo indispensabile per lo studente ma non superfluo per il lettore esperto; l’equilibrio ermeneutico e l’assenza di un sia pur minimo cedimento alle varie mode interpretative che si sono succedute negli anni, ne fanno veramente un classico della storiografia filosofica italiana tardo-novecentesca. Lo Hegel di Verra è letto juxta propria principia: egli rifiutava le influenze generiche o le affinità di prospettive tra il pensiero di Hegel e la filosofia contemporanea. Ribadiva, anzi, che «per cogliere adeguatamente i rapporti diretti o indiretti del pensiero contemporaneo rispetto a quello hegeliano è necessario profilare la posizione hegeliana nei termini più precisi e, se vogliamo, più contrastivi, affinché l’eventuale confronto avvenga al livello di maggiore profondità possibile» (p. 125).
Non c’è invece – e aggiungerei, per quello che ho scritto prima, ovviamente – alcuna ricerca di riappropriazione produttiva della filosofia di Hegel, alcun tentativo di pensare in proprio con Hegel e quindi, necessariamente, oltre Hegel: si faccia attenzione alle conclusioni quasi brusche di molti saggi,  si colga lo sforzo di distinguere la propria attività storiografica dalla rivendicazione o, almeno, dalla discussione dell’attualità filosofica della filosofia hegeliana. «Se poi quella tensione», la tensione tra natura e storia, scriveva Verra chiudendo Storia e seconda natura in Hegel (1983), «di cui la filosofia hegeliana è stata di certo una delle espressioni più robuste e organiche possa o debba ancora essere ripresa, è interrogativo che ci sembra andare molto al di là del piano storiografico e porsi piuttosto direttamente in quello della prassi». Conclusione, questa, singolare, perché prevede l’alternativa tra ricostruzione storiografica e prassi, e non invece, come pure ci si sarebbe dovuto aspettare, costruzione teorica. Come se indagare la seconda natura, dopo la fine della conciliazione hegeliana con la prima natura, mettere alla prova la tesi secondo la quale la «soprastruttura oppressiva che non ha liberato l’uomo dalla “prima natura”, ma l’ha sottoposto a un nuovo sistema di dominio» (p. 81), ritenerla giustificata oppure respingerla, significhi abbandonare l’esercizio non solo della storiografia filosofica ma della filosofia tout court. Ma, forse, dietro il sorriso apparentemente ironico col quale dichiarava di essere soltanto storico della filosofia, Verra celava la consapevolezza che oggi non sia più possibile altro che questo, di vivere in un tempo in cui filosofia e storia della filosofia coincidono, non perché il dispiegarsi delle filosofie nella successione storica ha il ritmo solenne della necessità filosofica, bensì perché della filosofia e delle sue abnormi pretese è possibile solo il ricordo e quindi solo la narrazione rammemorante la sua storia. Più che uno zoologo, un paleontologo…
D’altronde, la lettura sinottica dei saggi qui raccolti mostra come Verra si sia tenuto lontano proprio dagli interessi che hanno prevalso nella ormai lunga storia delle interpretazioni italiane di Hegel, e che andavano, in modo filosoficamente più o meno convincente, nella direzione della ripresa o del superamento (e poi, più recentemente, dell’abbandono, comunque degno di confronto) del pensiero hegeliano quale strumento indispensabile (od ostacolo insormontabile) per comprendere il presente e per filosofare oggi: nessun saggio è dedicato alla filosofia del diritto, né ai problemi della società civile o dello Stato o comunque alla politica. Neppure la discussione sulla dialettica e la natura della contraddizione, e quindi sul rapporto Hegel-Marx, vera croce e delizia della storiografia hegeliana del lungo dopoguerra italiano, trova riscontro nelle ricerche di Verra, che pure iniziano a dare i propri frutti al principio degli anni Settanta, quando la questione era ancora viva: solo un secco cenno in una nota, peraltro largamente lacunosa nei riferimenti bibliografici, ricorda che «Il problema della contraddizione, com’è noto, è stato molto discusso in Italia» (Le determinazioni della riflessione nella «Scienza della logica» [1987], p. 125). Logica, filosofia della natura, filosofia dell’arte, storia della filosofia sono invece i principali interessi di Verra lettore di Hegel.

Ha ragione Cesa nel consigliare il lettore ad iniziare il libro con la lettura, e poi, circolarmente, a concluderlo con la rilettura del saggio che è posto fisicamente al centro della raccolta, La circolarità del metodo assoluto in Hegel (1999). Saggio veramente magistrale, in cui Verra ricostruisce con esemplare chiarezza il nocciolo della filosofia hegeliana: il metodo assoluto, che viene trattato alla fine della Scienza della logica, quindi come suo risultato, il che lo differenzia da ogni impostazione moderna, in cui l’elaborazione del metodo è momento preventivo dell’indagine alla quale quel metodo deve essere correttamente applicato. Per sfuggire all’aporia del metodologismo moderno, il celeberrimo «imparare a nuotare prima di essersi gettati in acqua», Hegel elabora invece un metodo che è risultato dello sviluppo ascensivo della scienza logica, dall’essere all’essenza al concetto, e che, ritornando circolarmente su di sé, giustifica l’inizio dal quale la scienza aveva mosso. Così l’assolutezza della circolarità tra momento progressivo e momento regressivo del metodo «dipende dal fatto che il momento regressivo non è semplicemente una sorta di ricostruzione anamnestica o di verifica addizionale ininfluente, ma ha una vera e propria funzione fondante, come riscatto dell’astrattezza e indeterminatezza dell’inizio da cui ha necessariamente preso le mosse il processo metodico stesso» (p. 200). L’analisi dei testi hegeliani porta Verra a conclusioni importanti: innanzi tutto non c’è contrapposizione alcuna tra metodo e sistema (e tantomeno tra un metodo “rivoluzionario” ed un sistema “conservatore”), perché il metodo, anzi, è l’anima e la sostanza del contenuto, e da questo non può essere scompagnato, se non per un atto di astrazione intellettualistica. E poi il pensiero di Hegel «si pone molto al di là di qualsiasi alternativa tra fondazionalismo e antifondazionalismo, quasi fossero termini di una scelta più o meno arbitraria» (p. 207).
Alla logica o, almeno, prevalentemente alla logica, Verra ha dedicato poi altri importanti contributi: L’infinito della ragione (1987), Le determinazioni della riflessione nella «Scienza della logica» di Hegel, «Eins und Vieles» nel pensiero di Hegel (1990), «Idee» nel sistema hegeliano (1990), mettendo sempre in luce, dato che la logica costituisce la struttura razionale del reale naturale e storico, la relazione tra le categorie logiche prese in esame e gli aspetti del reale naturale e/o spirituale cui si riferiscono privilegiatamente. Di qui il ricorso costante al nesso tra determinazioni logiche e filosofie apparse nella storia. Alla interpretazione hegeliana di momenti specifici della storia della filosofia sono dedicati numerosi contributi: Hegel critico della filosofia moderna: matematica e filosofia (1970), Hegel e lo scetticismo antico: la funzione dei tropi (1981), Filosofia moderna e riflessione in «Glauben und Wissen» (1998), Hegel e la lettura logico-speculativa della «Metafisica» di Aristotele (1993) – il più convincente e ricco di suggestioni tra questo gruppo di saggi – e, infine, Motivi della critica hegeliana, tratto da Dialettica e filosofia in Plotino (1963, 19922). Altrettanto importante il gruppo di saggi rivolti ad esplorare quello che fino a non molti anni addietro sembrava essere la parte più obsoleta del sistema hegeliano, la filosofia delle natura: in preparazione di e parallelamente al lavoro di traduzione della Filosofia della natura enciclopedica, l’ultimo lavoro cui si dedicò Verra prima di morire, lo studioso scrisse Dialettica contro metamorfosi (1986), La razionalità della teleologia in Hegel (1989-90), La filosofia della natura (1997), Il sistema della vitalità in Hegel (1999). Studi nei quali, senza voler tentare un’ingenua attualizzazione e senza leggere impropriamente in chiave epistemologica il pensiero hegeliano, Verra mette in luce l’originalità della posizione di Hegel nel voler sviluppare la portata filosofica dei risultati delle scienze matematiche e naturali a lui coeve, talvolta (come è il caso della matematica) più avanzate rispetto alla stessa filosofia, cioè nel «“sistemare” tali risultati in ordine a una visione unitaria degli sviluppi del pensiero nella sua storia, e in rapporto a un’ossatura logica di fondo che ne emerge» (p. 108). L’attenzione di Verra per l’estetica hegeliana, e per la sua interpretazione in Gadamer, è invece testimoniata da L’arte e la vita nell’estetica hegeliana (1997), Poesia e pittura nell’estetica hegeliana (1997), L’estetica hegeliana nell’interpretazione di Gadamer (2000). La filosofia della storia sembra invece aver interessato solo all’inizio Verra: dopo l’inaugurale Storia e memoria in Hegel (1970), possiamo ricordare solo il già citato Storia e seconda natura in Hegel, coerentemente a un interesse secondario per la filosofia dello spirito oggettivo.
In questi saggi, come anche nei restanti scritti hegeliani, va rilevata anche un’altra caratteristica dell’interpretazione di Verra: pur mettendo in evidenza, ogni volta ne avvertisse la necessità, i mutamenti e le variazioni nella elaborazione filosofica, egli non contrappose mai uno Hegel jenese “aperto” a uno Hegel berlinese “chiuso” nell’algida coerenza del sistema, e tanto meno ritenne superiore il primo Hegel al secondo, giusta una tendenza esegetica ampiamente affermatasi invece soprattutto in Germania, in autori del prestigio di Pöggeler o Habermas. Al contrario, anzi, lo Hegel jenese e fenomenologico attira l’attenzione di Verra per lo più solo per poter meglio intendere le posizioni delle opere della maturità, La scienza della logica e l’Enciclopedia, dalla cui lettura, comprendente le postume Aggiunte, ricava il profilo della filosofia hegeliana (senza dimenticare il peso accordato alle Lezioni sulla storia della filosofia e di estetica; del tutto assente invece, come dicevo, i Lineamenti di filosofia del diritto). Un esempio, questo, di autonomia e onestà intellettuali: l’invito a leggere il testo secondo le indicazioni che esso stesso ci offre e contando sulla propria intelligenza, pur tenendo in giusta considerazione le altrui interpretazioni. È forse l’insegnamento più importante che ci ha lasciato Valerio Verra.



PUBBLICATO IL : 26-02-2008

 

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