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Fulvio Ferrario, La teologia del Novecento , Carocci, 2011
di Alessandro Aprile
p>Presentare un volume dal titolo la Teologia del Novecento in un spazio tematicamente dedicato alla filosofia non è cosa semplice. Si potrebbero certo addurre legittime motivazioni di tipo storico-filosofiche, miranti a considerare la teologia una disciplina che, soprattutto (ma non solo), nel corso del Novecento, è entrata in stretto dialogo con la filosofia. Ma seguendo questo percorso non si fornirebbe al lettore un'esatta visione del volume, il quale, lungi dal voler ripercorrere pur importanti studi di filosofia della religione o di scienze religiose, ha l'obbiettivo di parlare di teologia in quanto disciplina autonoma. E l'Autore svolge questo compito “dal campo suo”, in quanto non solo pastore protestante ma anche docente di Dogmatica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
            L'obbiettivo principale di questo lavoro è quello di esporre, attraverso un metodo chiaro ma nient'affatto banale, le questioni e gli autori più importanti che hanno animato il dibattito teologico del Novecento. Nello svolgere questo non semplice compito, Ferrario è mosso anche dalla convinzione che tale lavoro sopperisca, nei limiti delle possibilità, ad un paradossale vuoto della cultura italiana. Questa è infatti digiuna di teologia, nonostante sia percorsa al suo interno, ed in modo talvolta massiccio, da manifestazioni religiose, anche di tipo folkloristico, e dibattiti, spesso esclusivamente polemici, riguardanti temi religiosi a sfondo storico-sociologico, i quali compongono spesso quella che l'Autore chiama la «disinformazione teologica» (p. 166). Proporre quindi un analisi storico-tematica della teologia significa in fin dei conti pescare nella “periferia” culturale italiana e offrire ad un pubblico vasto ciò che si è soliti relegare, anche per ragioni di ordinamento universitario, ad un ambito ecclesiastico o comunque confessionale.
            Nonostante l'opera mostri una maggiore diffusione verso autori e temi prevalentemente legati alla teologia cristiana di matrice protestante o riformata, quali, ad esempio, Karl Barth e la sua teologia dialettica (cap. 2), Dietrich Bonhoeffer e Rudolf Bultman (cap. 3), l'Autore “invade” anche il campo delle altre confessioni cristiane, mostrando in modo evidente come il discorso teologico, pur legato alle necessarie esigenze pastorali proprie di una chiesa specifica, ha, sempliciter, come tema «il Dio di Gesù Cristo e la sua fonte è la rivelazione» (p. 172). Mantenere fermo questo centro della riflessione teologica cristiana permette di analizzare senza timore i modi in cui tale tema sia stato affrontato, secondo naturalmente differenti sensibilità, lungo il Novecento, tanto nella chiesa cattolica (si vedano i capitoli 3 e 4, dedicati rispettivamente al movimento neoscolastico e al Concilio Vaticano II), quanto in quella ortodossa (cap. 8).
            L'opera si sofferma inoltre su quelle particolari, e nient'affatto tradizionaliste, interpretazioni del pensiero cristiano, che l'Autore raggruppa sotto il nome di teologie soggettuali (cap. 6). Con questo termine collettivo si devono intendere tutte quelle teologie che, sviluppatesi soprattutto a partire dagli anni Sessanta, hanno declinato il messaggio cristiano in senso fortemente liberatore od emancipatore, in favore di soggetti fin ad allora emarginati anche da un punto di vista sociale. Alle categoria di “teologie soggettuali” appartengono la teologia della liberazione nell'America Latina, i percorsi teologici vicini e paralleli al movimento di emancipazione razziale negli Stati Uniti e le letture teologiche miranti, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, a mettere al centro, per l’appunto, la “soggettualità” femminile nelle chiese cristiane.
            Lo scenario complessivo che si dispiega procedendo nella lettura del presente volume è quello quindi di un percorso lungo un secolo di riflessione intorno al cristianesimo, al suo senso e ruolo nella società moderna. Forse come mai nella sua storia la teologia cristiana proprio nel Novecento è stata messa alla prova nella sua stabilità scientifica, scansando ogni forma di sacralità per afferrarne il centro concettuale. E nonostante questo centro ruoti ancora intorno alla pretesa di parlare di Dio, proprio nel secolo scorso la teologia cristiana si è fatta carico della sfida di parlare del Dio di Gesù Cristo ad un mondo adulto, nel quale la fedeltà del cristiano si esprime nell'”essere al di qua”, «nell'assunzione piena di responsabilità umane e storiche» (p. 78).
            Comprendere questi modi e coordinate che la teologia cristiana stessa si è data per comprendersi, significa soprattutto per un pubblico italiano sprovincializzare la visione del fatto religioso cristiano, così stretto ancora da confessionalismi, talvolta idolatri, e rigurgiti d'ateismo pseudo-scientifico.



PUBBLICATO IL : 31-12-2010

 

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