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Antonio De Lauri, La “patria” e la “scimmia”. Il dibattito sul darwinismo in Italia dopo l’Unità , Biblion, 2010
di Federico Morganti

Il ‘darwinismo’, viene fatto di dire, si disse in molti modi. Molteplici e diversificate furono infatti le ricezioni e le reazioni a On the Origin of Species all’indomani della sua pubblicazione (24 novembre 1859), al punto da far quasi pensare, darwinianamente, a un caso di “adattamento” di un singolo insieme d’idee a una molteplicità di contesti. Un fenomeno, peraltro, già largamente studiato, il cui esame ha prodotto risultati interessanti come The Comparative Reception of Darwinism, a cura di Thomas F. Glick (The University of Chicago Press, 1988), e il recentissimo The Reception of Darwin in Europe, a cura di Eve-Marie Engels e Thomas F. Glick (Continuum, 2008). Per quanto riguarda gli studi sul darwinismo in Italia, non posso in questa sede che limitarmi a ricordare gli ormai datati ma ancora validi studi di Giovanni Landucci (Darwinismo a Firenze, Olschki, 1977) e di Giuliano Pancaldi (Darwin in Italia, Il Mulino, 1983).
Se c’è una costante in questo processo di diffusione parallela della novità darwiniana è proprio che, ben lungi dall’essere assimilata come nudo insieme di dati scientifici, da accettare o respingere unicamente per ragioni empiriche, essa fu recepita alla luce delle metafisiche, delle ideologie più recondite, delle sensibilità, della storie culturali – non soltanto scientifiche – dei singoli paesi. E la storia italiana, in quegl’anni, passa naturalmente per il processo di unificazione nazionale. L’incrocio fra queste due storie – la diffusione del darwinismo in Italia e il raggiungimento dell’Unità nazionale – non aveva finora ricevuto la giusta attenzione. Si può legittimamente domandare se, grazie alla pubblicazione del volume di Antonio De Lauri, tale lacuna risulti effettivamente colmata; e la risposta dovrà essere: in parte.
Attraverso un’estesa e approfondita rassegna di opuscoli e periodici dell’epoca, «che costituivano il canale della “divulgazione” scientifica, e non certamente della elaborazione dottrinaria» (p. 13), De Lauri ricostruisce il contesto della ricezione del darwinismo nel nostro paese, mostrandone lo strettissimo legame con il dibattito culturale ad ampio raggio – spiritualisti vs. materialisti, credenti vs. razionalisti, clericali vs. anticlericali –, anche e ben al di fuori del ristretto ambito dell’accademia. Come chiarito in sede introduttiva, l’autore s’interessa alla teoria dell’evoluzione non dal punto di vista strettamente naturalistico-biologico, quanto piuttosto per i numerosi risvolti ideologici per i quali, soprattutto, essa fu osannata o esecrata, strumentalizzata o condannata, o magari sterilizzata nei suoi aspetti più indigesti. Così, dalle pagine di numerosi periodici dagli orientamenti più vari – come «Il Libero Pensatore», «Il Libero Pensiero», la «Nuova Antologia», la «Rivista di filosofia scientifica», e ancora la «Civiltà Cattolica», «Il Conservatore», l’«Unità Cattolica», ecc. – De Lauri ridà voce ad autori perlopiù dimenticati, talvolta estremamente inattuali, ma proprio per questo affidabili cartine di tornasole del contesto sociale e culturale in questione.
A dispetto di quanto affermato da Nicola del Corno nella Prefazione, il quadro che alla fine risulta dalla lettura del volume è quello di una prevedibile – ma non per questo meno attendibile – contrapposizione fra i sostenitori del libero pensiero, laici, fautori della scienza e del progresso, riduzionisti, continuisti, materialisti, talvolta atei, spesso anticlericali, da un lato, e i religiosi, conservatori, antiriduzionisti, difensori dell’irriducibile unicità della specie umana, avversari non tanto della scienza quanto della sua tangibile deriva materialista, dall’altro. Certamente non mancarono i tentativi di mediazione e le figure intermedie. Su tutte, quella di Giuseppe Mazzini, la cui analisi costituisce uno dei momenti di maggiore interesse del volume, convinto detrattore di qualsiasi ricaduta materialistica e ateistica del pensiero scientifico («La scienza ch’io venero non dà che le ragioni secondarie delle cose»). Oppure, per spostarci su un versante più strettamente biologico, la figura di Federico Delpino, che tentò di conciliare l’evoluzionismo con la dimensione della trascendenza e delle cause finali, collocandosi su un declivio che De Lauri non esita a indicare come ambivalente. Beninteso, si tratta solo di due, e non necessariamente i più importanti, tra i numerosi e significativi autori cui De Lauri dà voce in questo breve ma dettagliato volume. E, di nuovo, la sensazione che complessivamente se ne ricava è quella di un’effettiva contrapposizione, talvolta più, talvolta meno netta, tra due “schieramenti”; la stessa che, malauguratamente, caratterizza il nostro paese ancora oggi.
Nel dipingere questo quadro, tuttavia, De Lauri sembra mancare l’obiettivo che, pur implicitamente, egli preannuncia nel titolo, laddove affianca la ricezione del darwinismo al contesto dell’Italia post-unitaria, collocandosi dunque in una fase storica precisa. In altre parole, si ha quasi la sensazione che il quadro post-unitario, con il fermento politico, sociale e culturale da cui fu inevitabilmente caratterizzato, costituisca lo sfondo di un certo spettro di letture e reazioni al darwinismo in maniera soltanto accidentale. All’infuori della discussione sul pensiero di Mazzini sopra richiamata (pp. 21-28), di alcuni indiretti riferimenti alla figura di Garibaldi e poco altro, il testo è privo di qualsiasi riferimento alla concreta vicenda politica italiana di quegl’anni. Il che, se da un lato è in linea con l’intento di ricostruire la controversia sul darwinismo in Italia basandosi su un particolare tipo di fonti, dall’altro disattende quella che è una lecita aspettativa sul volume: l’auspicio che potesse colmare una lacuna che, al contrario, caratterizza tutt’ora la scarna letteratura sulla diffusione di Darwin in Italia.



PUBBLICATO IL : 31-12-2010

 

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