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Lucio Cortella, L'etica della democrazia. Attualitą della Filosofia del diritto di Hegel , Marietti, 2011
di Sabina Tortorella

Il titolo di questo libro risulta già adeguatamente esplicativo dell’obiettivo generale dell’opera: muovendo dal nucleo filosofico dei Lineamenti di filosofia del diritto, delineare una prospettiva feconda per gli stati contemporanei, con lo scopo di ripensare e tradurre la nozione hegeliana di eticità nei termini di un ethos democratico. Lucio Cortella prende le mosse dalla premessa secondo cui il testo di Hegel discute i fondamenti dello Stato moderno, proprio in quanto i problemi che esso si trova davanti non solo vanno al di là dell’epoca strettamente hegeliana, ma rimangono questioni ancora aperte per la teoria politica presente. In questa prospettiva è allora giustificato il ricorso ad un’opera che, pur non appartenendo alla tradizione del pensiero democratico, rivela tutta la sua attualità nell’investigare i caratteri costitutivi della dimensione collettiva e dell’integrazione sociale in un orizzonte pluralistico e post metafisico.
La domanda con cui l’autore apre il suo libro è infatti proprio quella intorno a cui si è concentrata la filosofia politica negli ultimi anni: quali sono gli elementi necessari per favorire la convivenza all’interno di una nazione e qual è la natura del nesso sociale sulla base del quale si fondano gli stati contemporanei? O in altri termini: al fine di garantire la solidità della democrazia e rafforzare il legame intersoggettivo sono sufficienti norme giuridiche astratte di giustizia, come sostengono coloro che relegano le specifiche concezioni del bene alla vita privata dei singoli, o piuttosto è necessaria un’etica comune, una medesima identità storico-culturale e il riferimento a valori condivisi? La scommessa di Cortella è allora quella di rispondere a tale questione, uscendo dall’impasse che le due possibilità dicotomiche presentano, attraverso un concetto di ethos inteso come dimora comune, in modo tale da riscoprire e rendere esplicita «quell’etica che è già incorporata e operante nelle istituzioni dello Stato democratico e che per questo motivo è già alla base del vincolo sociale fra i cittadini» (p. 11): così come la ricchezza del concetto hegeliano di eticità consiste nel presentare la libertà moderna oggettivata in un sistema giuridico e in istituzioni politiche e civili, così oggi bisogna ritrovare «un lato etico» nelle istituzioni politiche sulla base del quale riscoprire l’identità di una nazione e i suoi elementi costitutivi culturali. Per fugare qualunque ambiguità che possa ricondurre la sua nozione di ethos a quella dei neocomunitari, Cortella specifica che non si tratta di vincoli sostanzialistici, quanto piuttosto di una Bildung, intesa come «processo di apprendimento e di educazione» che ormai si è «consolidato e istituzionalizzato». Le istituzioni delle democrazie contemporanee, che si pongono inevitabilmente nel solco di quella che è diventata una «tradizione della libertà», sono infatti il mondo in cui noi stessi ci formiamo e sono etiche nel senso che educano gli stessi cittadini: l’esercizio della libertà, la consapevolezza dei diritti, il rispetto della legalità (e non l’appartenenza etnica, la comune storia e religione o l’insieme di specifici e identici valori) diventano allora per l’autore del libro quell’«ethos comune e condiviso», entro il quale già da sempre ci troviamo e che costituisce ormai la nostra seconda natura. Per questo – afferma Cortella – è oggi necessaria una democratizzazione della concezione hegeliana dell’eticità, che superi i limiti di una visione meramente strumentale della democrazia e fornisca il vantaggio di essere contemporaneamente universale e concreta, cioè partecipata da tutti e vigente storicamente nella prassi (pp. 14-15).
L’intera esposizione del libro procede quindi su un duplice registro: mentre infatti Cortella si inoltra in una disamina dettagliata e puntuale dei Lineamenti di filosofia del diritto, al fine di offrire una chiara presentazione del pensiero hegeliano, il suo intento dichiarato è teso a mostrare in quale misura esso possa offrire strumenti concettuali in grado ancora oggi di affrontare questioni attuali. Secondo la tesi di fondo, che orienta la lettura del testo da parte dell’autore, all’interno del modello hegeliano ci sono potenzialità differenti di sviluppo che possono emergere solo abbandonando la nozione di Idea come autotrasparenza e autoriflessione e favorendo un’interpretazione della libertà in un’ottica dialettica come «esser presso di sé nell’altro da sé». Superando alcuni presupposti logico-ontologici che relegano Hegel entro l’idealismo tedesco, è allora possibile valorizzare il concetto di libertà comunitaria che può essere offerto da una «logica del riconoscimento» (p. 222): se l’errore hegeliano consiste nel primato della logica monologica dell’Idea, è necessario far emergere una nozione di libertà intesa in senso “relazionale” e una concezione di oggettività normativa che trovi la sua origine in una dimensione plurale e intersoggettiva.
            Il libro può pertanto esser collocato all’interno di una recente tradizione che si propone di valorizzare in un’ottica contemporanea la nozione di Riconoscimento hegeliana e che vede come esempio paradigmatico l’opera pubblicata una decina di anni fa da A. Honneth, Il dolore dell’indeterminato. Una attualizzazione della filosofia politica di Hegel. L’accostamento dei due testi risulta ancor più motivato dal fatto che la formazione e l’attività scientifica di Lucio Cortella maturano a stretto contatto con l’ambiente francofortese; non a caso infatti i suoi ambiti di ricerca si muovono all’interno di una costellazione i cui referenti sono, da un lato, Hegel, la filosofia pratica e la teoria del riconoscimento e, dall’altro, Adorno, Horkheimer e Habermas.
Professore ordinario di storia della filosofia moderna e contemporanea presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, Cortella si segnala, infatti nel panorama italiano, oltre che per la sua ampia produzione scientifica, in quanto direttore del Seminario di Teoria Critica dell’Università di Venezia e uno tra i fondatori e coordinatori nazionali del Seminario di Teoria Critica di Cortona. Sebbene il libro di Lucio Cortella possa allora essere considerato come epigono del lavoro di Honneth, il taglio dell’opera riflette un approccio tipico dello studioso di storia della filosofia, il cui obiettivo di attualizzazione del contenuto di un classico si presenta solo come risultato di una lettura scrupolosa e attenta della lettera del testo. Mentre è possibile riscontrare nelle posizioni di Cortella ormai alcuni Leitfaden di una certa lettura tedesca della filosofia hegeliana (come per esempio la valorizzazione di alcuni motivi di origine aristotelica, l’interesse per un modello di riconoscimento comunicativo, l’attenzione per la questione della normatività e l’idea secondo la quale negli scritti “sistematici” Hegel avrebbe perso quella componente orizzontale e intersoggettiva che era invece più marcata nella filosofia jenese), la specificità del libro si manifesta nel confronto costante con i Lineamenti di filosofia del diritto, che vengono indagati con il rigore di chi intende prima di tutto illuminare il nucleo teorico del testo senza operare indebite forzature. Ne risulta un lavoro che, pur non essendo un’introduzione e meno che mai un commentario, ha il pregio di offrire una panoramica dell’intera filosofia del diritto di Hegel: selezionando alcuni passi significativi, Cortella attraversa infatti tutte le sezioni dell’opera hegeliana (dal Diritto Astratto alla sfera dello Stato), allargando la prospettiva all’intera produzione del filosofo tedesco laddove si mostra necessario.
In questa prospettiva si può affermare che l’attualizzazione di Hegel avvenga “per via diretta”, come mostra il fatto che il libro entra subito in medias res, mettendo in questione il rapporto tra Moralität e Sittlichkeit dal punto di vista dell’ambiguità dell’etimologia: sebbene sia i mores (da cui deriva il termine moralità) che le Sitten (origini dell’eticità e corrispondenti al termini greco ethos) indicano gli usi e i costumi, Cortella pone l’accento sul fatto che per lo stesso Hegel sia possibile ipotizzare una connessione con il sostantivo tedesco Sitz (da cui sitzen), inteso nel senso di sede, posto dove si risiede (p. 17). In tal modo verrebbe confermato il significato originario implicito nella parola greca ethos, dimora e abitazione, e questo permetterebbe una lettura dell’eticità nei termini di un luogo abituale, non necessariamente fisico, in cui l’individuo si muove e all’interno del quale forma la propria vita, tanto che si può considerare etico quell’agire che si conforma alle tradizioni (p. 28). Cortella prosegue soffermandosi sulla nozione di diritto come Idea, ovvero in quanto manifestazione oggettiva della libertà che si realizza nella storia, e analizza i paragrafi dell’introduzione dei Lineamenti dedicati al concetto di volontà libera, cogliendo la specificità hegeliana alla luce di riferimenti tanto alla tradizione antica quanto alla filosofia pratica kantiana. Tematizzare il significato di libertà hegeliana vuol dire allora sia mettere in questione la relazione fra moralità, legalità e natura, cioè tra universalità astratta e la particolarità concreta, sia interrogare la fondazione del concetto in rapporto al piano della Wirklichkeit, vale a dire dell’effettualità. Il percorso intrapreso dall’autore del libro conduce così nel cuore della Scienza della Logica: attraverso la critica alla sostanza spinoziana, Cortella presenta i caratteri di una concezione di libertà, intesa come autoriflessività e autotrasparenza. Viene così mostrato come l’operazione svolta da Hegel sia una desoggettivizzazione e deformalizzazione della libertà, che permetta di superare l’opposizione tra una nozione negativa, come tale astratta e priva di determinazioni, e una positiva, il cui limite è proprio la finitezza. In questo modo la libertà non è una proprietà di un individuo, ma un nesso che dimora nell’oggettività; in quanto tale essa non ha più una natura trascendente, ma è un insieme di pratiche, relazioni e ordinamenti che si costruiscono nella storia. Leggere la filosofia del diritto significa allora comprendere la libertà universale che nell’epoca moderna è divenuta mondo, articolata in un tessuto di rapporti e di istituzioni all’interno del quale è possibile che ogni singolo individuo sia libero. Cortella accompagna dunque il lettore in quello che è un cammino lungo le differenti sfere in cui la libertà si struttura, proseguendo dal diritto formale della persona fino all’eticità compiuta dello stato.
Nella ricostruzione del diritto astratto l’autore pone l’accento sull’aspetto di comunanza e non di universalità raggiunto in questo stadio dagli individui, laddove l’uguaglianza che li contraddistingue esprime assenza di effettive relazioni intersoggettive che non siano mediate dalla proprietà. Pertanto il diritto astratto (ed in questo senso l’età moderna, proprio in quanto è solo allora che esso si struttura così come lo presenta Hegel) è contraddistinto da una duplice caratteristica di emancipazione ed estraniazione: attraverso un confronto con interlocutori quali Ritter, Taylor, Menke e lo stesso Marx, Cortella mette in luce come la condizione giuridica presenti una natura ambivalente, nella misura in cui offre da un lato possibilità di oggettivazione e liberazione, ma dall’altro rimane affetta da scissione e reificazione, anche in assenza di reali rapporti di riconoscimento.
A proposito dalla sfera dedicata alla Moralità, l’autore si sofferma sulla nozione di libertà quale autonomia, evidenziando come la riforma protestante, il principio del cogito nonché l’empirismo inglese abbiano per Hegel contribuito, ciascuno per ragioni diverse, all’elaborazione della nozione di soggettività. Nel presentare lo statuto della seconda sezione della filosofia del diritto, Cortella raccoglie le obiezioni che Hegel muove a Kant intorno a tre questioni fondamentali al fine di mostrare come i criteri formali della moralità (universalizzazione, non contraddizione, coerenza) siano di per sé vuoti senza il riferimento a condizioni sociali che educhino a determinate norme morali e all’autonomia. L’argomentazione di Cortella prosegue sottolineando come la critica hegeliana consista nell’incapacità propria di Kant di riconoscere quella libertà oggettiva che è già operante nella storia, dal momento che suo intento è quello di giungere ad un concetto di libertà più ampio. Hegel è letto dunque in continuità con il filosofo della Ragion Pratica perché egli non rifiuta l’impostazione kantiana, bensì intende completare il punto di vista morale estendendo la libertà alla dimensione oggettiva, al fine di superare le Verstellungen kantiane: in questa prospettiva allora il guadagno di una libertà oggettiva non riducibile all’autonomia individuale diventa per Cortella una libertà relazionale, «incarnata nelle pratiche sociali e nelle relazioni “etiche” in cui “crescono” gli individui, cosicché il concetto di eticità costituisca un “correttivo” del punto di vista moderno della moralità» (pp. 90 e 129).
Con il procedere dell’analisi del testo di Hegel, l’interpretazione di Cortella prosegue nella direzione tesa a evidenziare l’accezione di dimora propria dell’ethos, come mostrano in maniera chiara le pagine in cui l’autore esamina la società civile e in parte la sua relazione con il diritto astratto, laddove il rapporto fra astrazione e concretezza, natura e libertà, uguaglianza e differenza diventa particolarmente significativo. Risulta un quadro della società civile come stato di natura, in cui la dialettica tra uguaglianza e indifferenza, individualismo e collettività, lavoro e formazione contribuisce a far emergere la natura “etica” della società civile, in quanto luogo di educazione alla libertà che emancipa l’uomo dai bisogni immediati (p. 105). La società civile resta tuttavia contrassegnata da una Entzweiung, che viene ben illustrata dall’autore del libro nella disamina dei paragrafi 184 e seguenti, attraverso il ricorso ancora una volta a categorie proprie della logica, in particolare dell’essenza, come le nozioni di riflessione e parvenza che relegano la seconda sezione dell’eticità ancora in una dimensione intellettualistica (p. 109 e sgg). L’interesse che suscita il libro di Cortella aumenta anche in ragione del fatto che la presentazione delle sue tesi è sempre accompagnata da una ampia discussione delle posizioni dei maggiori interpreti hegeliani, come per esempio in questo caso di Theunissen, Riedel, Bubner, in modo tale che il lettore possa sempre aver davanti una panoramica delle diverse letture che sono state fatte di paragrafi nevralgici della filosofia del diritto.
Se la società civile è caratterizzata dall’apparenza, la sezione dedicata allo Stato viene presentata attraverso i rimandi alla categoria di realtà, dal momento che l’articolazione di esso è sul piano reale quello che l’idea è dal punto di vista logico. Viene così delineata una nozione di stato muovendo dal confronto con la tradizione antica e con il “costruttivismo” proprio della filosofia  politica moderna: Cortella si preoccupa allo stesso tempo di individuare le differenze del modello politico hegeliano rispetto alla polis greca, di affrancare il filosofo tedesco dall’ormai datata interpretazione che lo vede apologeta dello stato prussiano e di sottolineare la sua distanza dalla concezione politica liberale. Non emerge pertanto un ritratto che rappresenti Hegel come “segreto” e “diverso”, nel modo in cui una parte della letteratura ha fatto, quanto piuttosto una posizione secondo la quale la costituzione politica hegeliana  è espressione di un “patriottismo costituzionale”, sulla scorta della lettura di Habermas e di Honneth. In quest’ottica allora il merito di Hegel consiste nell’elaborazione di un concetto di seconda natura, tale per cui l’eticità non è costretta entro una visione particolaristica, ma al contrario esprime l’universalità che si è fatta Sitte: con un salto all’indietro Cortella si sofferma in una disamina dei paragrafi dedicati al passaggio dalla moralità all’eticità al fine di evidenziare quel capovolgimento etico della morale, secondo il quale quest’ultima dipende dalle istituzioni e le istituzioni diventano sul terreno della libertà moderna espressione di una nuova dimensione normativa che sola rende possibile il punto di vista del dover essere morale (p. 156).
L’argomentazione dell’autore conduce allora a mettere al centro della questione la nozione di riconoscimento, al fine di guadagnare una declinazione più strettamente politica di tale paradigma, in cui ad una direzione bottom up segua un movimento top down, in modo tale che i rapporti intersoggettivi siano mediati da relazioni oggettive. L’analisi intende infatti mettere in luce i limiti della concezione hegeliana, in assenza di un’adeguata relazione di reciprocità in quel riconoscimento che Siep ha chiamato “di secondo livello” e che lascia aperto il problema della legittimità della istituzioni sulla base di un consenso dal basso.
Nel portare a termine l’analisi dei Lineamenti di filosofia del diritto, Cortella giunge infatti alla conclusione per cui Hegel non riuscirebbe a tradurre nella pratica il concetto di libertà e disattenderebbe così quel progetto da cui aveva preso le mosse, la conciliazione fra soggettività individuale e oggettività sostanziale. L’interpretazione dell’autore presenta una decisa sintonia con quei lettori di Hegel come Hösle che hanno sottolineato il sacrificio di fronte allo spirito oggettivo dell’individualità, non autrice attiva dell’ethos collettivo, bensì prodotto passivo di un universale fagocitante (p. 173 e segg.). Secondo Cortella, Hegel lascerebbe allora aperto il problema “del riconoscimento dell’universale”, riconducendo la sovranità su un piano naturale (quello del monarca per nascita) e lasciando naufragare l’eticità dentro la tempesta della storia; quest’ultima si risolve in un teatro di guerre e violenze esposto all’accidentalità, proprio perché l’unica potenza necessaria è la Weltgeschichte. Il limite di Hegel è quello che l’autore definisce un concetto “enfatico” di libertà, proprio in quanto esso subisce lo scacco dinanzi ad una storia non trasparente né conciliatoria, che non è altro che lo stato di natura del bellum omnium contra omnes tra gli Stati. L’errore hegeliano consiste allora nell’aver costretto l’eticità entro i confini nazionali, proprio in quanto, in assenza di un riconoscimento reciproco interstatale, i soggetti restano schiavi di una “logica” di cui non dispongono e la conciliazione avviene solo sul piano dell’Idea, cioè dello Spirito Assoluto, della coscienza filosofica extramondana e non della coscienza storica dei suoi protagonisti. Cortella giunge così al risultato secondo il quale il limite della teoria dell’eticità hegeliana risulta nella natura “ideale” della libertà, pensata come autoriconoscimento assoluto e conciliazione tra soggetto e oggetto, laddove il lato soggettivo di essa rinvia al sapersi della sostanza, rimuovendo l’intersoggettività dalla filosofia del diritto (p. 219).
L’intento dell’autore è quello di criticare la nozione hegeliana di libertà come “esser presso di sé” a vantaggio del recupero di un concetto alternativo presente nella Scienza della Logica come “esser presso di sé nell’esser altro da sé”, a partire dal quale è stata formulata da Theunissen l’espressione libertà comunicativa o comunitaria: solo considerando l’oggettività quale prodotto dell’intersoggettività, la giustificazione del valore normativo dell’eticità può affrancarsi dalla filosofia della storia.
 La lezione hegeliana resta perciò quel paradigma del riconoscimento secondo il quale il rapporto di dipendenza è costitutivo dell’individualità e l’indipendenza necessita il riferimento all’alterità, così come viene esposto dallo stesso Hegel nei testi precedenti la filosofia del diritto. Questo è il risultato a cui conduce l’interpretazione hegeliana di Cortella e questa è la conquista che la filosofia politica ha maturato e che deve sviluppare traendone le conseguenze sul piano post metafisico e contemporaneo. Il compito è allora oggi elaborare una teoria del riconoscimento fondata sulla relazione pratica, etica e normativa, in quanto la libertà non è più una proprietà soprasensibile o ontologica, come per Kant e Rousseau, ma un’acquisizione storica che si dispiega nella relazione sociale plurale. La questione di fondo su cui Cortella pone l’accento riguarda dunque il fondamento della normatività: essa consiste infatti nei rapporti di riconoscimento che sono incarnati nelle istituzioni etiche e che gli individui legittimano ogni volta che agiscono in conformità ad essi; in tal modo essi tengono in vita e rinnovano l’ethos alle loro spalle, mentre, al contrario, nel caso in cui viene meno la fiducia nelle istituzioni queste vacillano nella loro esistenza proprio in quanto perdono “effettualità”.
La trattazione di Cortella si conclude con quello che potremmo definire un abbozzo di proposta filosofico-politica, a partire da un’articolazione degli ambiti di riconoscimento che integri quelli elaborati da Honneth, cosicché l’eticità assuma una configurazione plurale sulla base di cinque sfere: affettiva, giuridica, politica, valoriale e morale (p. 234). In questa prospettiva la democrazia è ripensata come una nuova comunità, caratterizzata da quelle regole universali e impersonali che costituiscono “la nuova casa” dell’individuo e che sono subentrate ai legami comunitari premoderni. La tesi così esposta sostiene che il cittadino ha interiorizzato i comportamenti legali che già Hegel a suo tempo aveva posto; egli si è abituato alla legalità, alla responsabilità giuridica, alla partecipazione attiva, tanto che esse sono ormai parte costitutiva della sua natura e non rappresentano più un «elemento di coercizione esterna e di eteronomia» (p. 236). Cortella prende in prestito l’espressione “eticità democratica” coniata da Wellmer per intendere l’assunzione di un’abitudine di comportamenti liberali e democratici il cui fondamento sono corrispondenti istituzioni, tradizioni e pratiche: in questo caso si può affermare che lo scopo sia l’elaborazione di un paradigma che corregga dall’interno le tesi habermasiane, focalizzando l’attenzione su quelle “pre-condizioni essenziali” ad una politica deliberativa. Il limite della posizione del filosofo francofortese consisterebbe infatti nell’attestare la sua concezione della democrazia su un piano unicamente procedurale e formalistico, mentre diventa necessario recuperare una sfera intermedia che individui nella motivazione interiore il suo presupposto e sostegno. Si potrebbe allora sostenere che per Cortella la procedura discorsiva resti un elemento necessario, ma non sufficiente, in quanto deve accogliere al suo interno la valorizzazione di un ethos democratico, universale e condiviso parimenti costitutivo della legittimità democratica, «sia nel senso della genesi sia in quello della validità» (pp. 238-240). Se da un lato egli si colloca così all’interno del filone Habermas-Wellmer-Honneth, la specificità della sua posizione consiste nel combinare una lettura profondamente critica e per nulla compiacente di Hegel con la definizione di un’eticità di matrice hegeliana che favorisca un progressivo slittamento in senso sostanzialistico, relazionale e comunitario della democrazia, senza che ne vengano però messi in discussione i suoi caratteri post-tradizionali. Il modello così delineato, che possa rendere effettuale e portare a compimento la modernità, si articola intorno a quattro parole d’ordine: formalità, pluralismo, universalità e deflazionamento della dimensione politico statale. Ciò significa innanzitutto il rispetto di regole, procedure e principi costituzionali, nonché la difesa di una molteplicità di beni e il rispetto di una varietà di orientamenti, che come tali hanno diritto di cittadinanza entro procedure deliberative le quali permettano il confronto democratico. Inoltre è necessario un impegno in vista del superamento dei confini nazionali, a vantaggio di istituzioni inter e sovranazionali e di un’eticità universale per una cultura globale dei diritti umani, della tolleranza e della solidarietà fra diversi. Infine è necessario scaricare la politica dal gravoso onere di occuparsi della realizzazione e della felicità dell’individuo, in modo tale che suo dovere resti la garanzia di precondizioni all’affermazione del singolo, lasciando così spazio a quelle sfere intermedie già presenti nell’eticità hegeliana che si preoccupino della dimensione affettiva e sentimentale, delle relazioni di solidarietà e stima piuttosto che dell’ambito dei rapporti comunitari, di lavoro o di scambio sociale.
Il pregio del libro di Cortella consiste nel combinare un lavoro analitico sul testo hegeliano (che rende chiare le coordinate di riferimento, seppur dentro una tradizione critica ben determinata) con un’attività di sintesi che da quella trae conclusioni e apre al dibattito politico contemporaneo. Il limite delle sue “linee di un’eticità post-idealistica” sta invece nel rischio di una visione troppo ottimista e pacificatoria rispetto ai problemi che l’urgenza dell’attualità pone davanti ai nostri occhi. Interrogare il presente significa ripensarne le strutture di fondo e la loro razionalità attraverso una radicale critica dello status quo, mentre la proposta di Cortella dovrebbe essere maggiormente sviluppata proprio nella capacità di mettere in questione le modalità attraverso le quali si concretizzano e prendono forma a tutti i livelli le relazioni di riconoscimento, altrimenti si corre il rischio di utilizzare una categoria vuota e formale che non  prende in seria considerazione la reale collocazione dell’individuo. Se la democrazia non deve ridursi solo ad una tecnologia di governo, ma deve assumere come proprio il problema della costituzione del corpo politico, sarà necessario chiedersi come si articola e si esercita il potere entro quello spazio pubblico destinato all’uguale libertà di tutti coloro che ne fanno parte. In quest’ottica allora si pone la domanda relativa ai meccanismi di partecipazione e di inclusione degli individui all’interno di uno stato nazionale in crisi di fronte alla globalizzazione e nel quale la sovranità è sganciata dai confini territoriali. Se è vero, come afferma Cortella, che la politica non ha il compito di attuare la felicità e l’autorealizzazione, un discorso filosofico sulla modernità non può allo stesso tempo omettere di esaminare la relazione fra democrazia, capitalismo ed economia di mercato: per questo è necessario allora mettere in questione quei fondamenti economico-sociali e politici propri delle società contemporanee, perché, in caso contrario, si potrebbe correre il rischio di assumere il dato immediato ripresentandolo mutatis mutandis come invariato. Infatti, il modello di un ethos democratico, se nella teoria espone la necessità di misure correttive, non riesce nella realtà ad essere incisivo nell’affrontare le aporie di quella che è la pratica delle democrazie contemporanee. “Apprendere il proprio tempo con il pensiero” vuol dire oggi necessariamente fare i conti con le lotte sociali a causa di reddito e lavoro, con gli scontri interreligiosi, con le sperequazioni fra paesi ricchi e poveri, nonché con le richieste umane e politiche avanzate dai fenomeni di migrazione di massa; vuol dire in altre parole assumere, anche all’interno di un orizzonte democratico, il conflitto come dimensione mai del tutto pacificata e superabile, che, al contrario, una visione troppo irenica dei rapporti sociali rischia pericolosamente di misconoscere.



PUBBLICATO IL : 31-12-2010

 

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