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AA.VV., Eugenio Lecaldano. L’etica, la storia della filosofia e l’impegno civile , Le Lettere, 2010
di Ludovico De Lutiis

Nel mondo accademico un volume di allievi e colleghi in proprio onore è un traguardo che da solo presuppone una lunga e fruttuosa attività di ricerca e insegnamento. Nel caso di Eugenio Lecaldano, come mostra anche il volume in questione, si può individuare anche una gratitudine personale che allievi e amici nutrono nei suoi confronti. Per i suoi 70 anni è uscito, a cura di Piergiorgio Donatelli e Maurizio Mori, un corposo volume che approfondisce in due modalità differenti i temi e i problemi cari a Lecaldano. Nella prima parte vengono discusse direttamente le posizioni che Lecaldano ha sostenuto in sede storico-filosofica o in sede teorica, in un confronto costante con i suoi testi; i saggi della seconda parte sono invece degli omaggi allo studioso, attraverso il confronto con temi a lui cari, ma (salvo alcune eccezioni) trattati indipendentemente dalle sue posizioni in merito.
La prima parte contiene, non a caso, i lavori dei suoi allievi e dei colleghi e amici con cui egli ha condiviso oltre agli studi anche una forma di militanza civile, principalmente attraverso l’impegno per la difesa di una bioetica laica in Italia. E proprio la bioetica è uno dei tre macrotemi che attraversano il volume, insieme agli interessi storico-filosofici di Lecaldano e alla sua posizione etica, ora stabilizzata (e lo si capisce bene confrontando i saggi che del suo pensiero teorico si occupano) in una forma di utilitarismo delle virtù di stampo sentimentalista. L’intreccio tra sentimentalismo, utilitarismo ed etica delle virtù che caratterizza il pensiero del maestro contraddistingue i saggi di Piergiorgio Donatelli (La prima lezione di Lecaldano), Maurizio Mori (Sul sentimentalismo etico di Lecaldano), Caterina Botti (La differenza sessuale e la morale. Una conversazione con  Eugenio Lecaldano), Maurizio Balestrieri (Etica e scienza nel pensiero di Eugenio Lecaldano), Simone Pollo (Il naturalismo come virtù morale), Gianfranco Pellegrino (La preziosa eccezione. Storia e teoria dell’utilitarismo in Eugenio Lecaldano), Lorenzo Greco (Identità personale, carattere e virtù: Eugenio Lecaldano e il soggetto morale) e Alessio Vaccari (L’etica utilitarista della virtù nella riflessione di Eugenio Lecaldano). In alcuni casi questo nucleo teorico viene affrontato solo tangenzialmente, in quanto l’attenzione è rivolta ad una singola tematica in cui l’autore si confronta con il pensiero di Lecaldano, tendenzialmente ricostruendola alla luce dei suoi scritti, oppure (è il caso di Mori) dando vita ad una discussione critica a partire da un punto teorico di disaccordo inserito in una più generale comunità di vedute. Altri temi attraversano alcuni di questi saggi sul pensiero di Lecaldano (ad esempio identità personale, naturalismo, oggettività, realismo-anti realismo, internalismo-esternalismo) e non sono certamente non significativi, così come è innegabile l’importanza di alcune tematiche affrontate solamente da un autore (su tutti differenza sessuale e scienza).
Tuttavia, la straordinaria importanza dell’edificio teorico cui Lecaldano è giunto dopo un percorso lungo e coerente che lo ha visto occuparsi in maniera autorevole di sentimentalismo e utilitarismo anche in sede storico-filosofica (vengono nel volume più volte ricordati i suoi importanti contributi come curatore di edizioni italiane e come autore di monografie su Hume, Bentham e J.S. Mill, solamente per citare i “classici”) è testimoniata dalla ricchezza di “porte e finestre” da cui è raggiungibile; sembra cioè che la sintesi di sentimentalismo, utilitarismo ed etica delle virtù cui Lecaldano è giunto negli anni della maturità sia tanto coerente quanto ricca di sfumature che possono “conquistare” sensibilità e interessi differenti, e che permettono ai suoi allievi di condividerla (talvolta solo in parte) partendo da posizioni talvolta anche distanti tra loro e in ogni caso tutt’altro che omologate. Un esempio pratico di ciò è fornito dal ricorrente tema dell’importanza dell’educazione immaginativa, anche attraverso la letteratura e il cinema (di cui Lecaldano è grande appassionato ed esperto), che per il maestro e per molti suoi allievi è un aspetto chiave dell’etica; Pollo riassume efficacemente la prospettiva in questione: «La capacità di simpatizzare con i sentimenti altrui è anzitutto un’abilità naturale biologicamente inscritta in noi, ma essa è anche oggetto di educazione e perfezionamento. Le relazioni personali, anzitutto, ma anche la letteratura, la musica, le arti visive, il cinema sono fonti di questa educazione e perfezionamento. Un’etica del carattere di matrice sentimentalista riconoscerà questa pluralità di fonti nell’educazione e nello sviluppo del carattere personale» (p. 150).  Così come, analogamente e anzi come premessa a quanto appena detto, Lecaldano e molti suoi allievi negano che l’etica abbia a che fare con la capacità di ragionamento, quanto piuttosto con quella «di provare i sentimenti giusti», come scrive Balistreri (p. 129), che cita un lungo e importante brano tratto da un saggio del 1998: «Questa analisi della morale comporta che quando ci si trovi di fronte a un insanabile disaccordo di valori e non si sia in grado di risolverlo ricorrendo a esperienze […] si finirà con il ritenere che la persona con cui si è in disaccordo non riesce ad arrivare alle conclusioni giuste non già perché difetta nella capacità di ragionamento, ma perché è incapace di sentire le emozioni e i sentimenti giusti. Questa incapacità o immaturità non riguarda il fatto di non sentire quella specifica occasione in cui si esprime un giudizio morale, ma piuttosto di non essere stato ancora capace di provare le emozioni e i sentimenti che si debbono sentire» (p. 129; tratto da Eugenio Lecaldano, L’oggettività in etica: una versione “sentimentalistica” in «Rivista di filosofia», LXXXIX, 3, pp. 379-380).
Il Lecaldano storico della filosofia emerge anche nei saggi incentrati sul Lecaldano filosofo morale, poiché, come diversi autori sottolineano, egli non pratica né una storiografia incentrata esclusivamente sulle fonti, né una filosofia astorica, incapace di comprendere i debiti dei contemporanei verso gli autori dei secoli precedenti. Ma soprattutto l’intreccio è dovuto, ancora una volta, alla particolare forma di sentimentalismo di cui Lecaldano è promotore; come ricorda Donatelli (p. 21) «egli è stato uno dei primi sul piano internazionale a interpretare Hume come un teorico delle virtù». «E come il sentimentalismo humeano, ruotando intorno nozione di carattere, si rivela essere un’etica delle virtù, così l’utilitarismo rinnovato di Lecaldano si qualifica, a sua volta, come un utilitarismo delle virtù» (Greco, p. 191); un’etica delle virtù differente, molto differente, da quella di stampo aristotelico, perché (qui brutalizziamo, ma nel volume non mancano passaggi tecnici ed elaborazioni concettuali sofisticate) conseguenzialista e priva di finalismi. Del resto, «per Lecaldano il conseguenzialismo non può non accompagnarsi […] ad una concezione utilitarista del bene che valuta le conseguenze a partire dall’impatto sul piacere e sulla sofferenza delle persone. Ciò dipende dalla particolare concezione sentimentalista sulla natura dell’etica che costituisce da sempre il fulcro della sua riflessione filosofica» (Vaccari, p. 207); ma si tratta anche «di un’etica delle virtù perché l’approvazione è rivolta alle virtù dell’agente: il sentimento morale si rivolge a un agente con un carattere da approvare o da biasimare, e quindi né a mere azioni né a meri stati di cose. A loro volta, i tratti virtuosi indicano tendenze del carattere a compiere certe azioni» (Donatelli, p. 23). Il legame tra conseguenzialismo e carattere chiama in causa anche il concetto humeano di punto di vista fermo e generale, che «ci può mostrare come un atteggiamento empirista e naturalizzato favorisca lo sviluppo di tratti del carattere utili/piacevoli a se stessi e agli altri» (Pollo, p. 147). 
Tali tratti distintivi della ricerca di Lecaldano sono lontani dalla tradizione italiana principalmente su due aspetti. In primo luogo, il legame tra ricostruzione storiografica e militanza filosofica: «Al contrario di molti storici italiani, Lecaldano ha studiato l’utilitarismo perché egli stesso si riconosce in questa teoria e la ritiene un’opzione valida per la soluzione dei problemi più pressanti della vita contemporanea. […] contrariamente alla tendenza preponderante in Italia, per Lecaldano l’impegno culturale e l’approfondimento scientifico non sono caratterizzati da compartimenti stagni e paratie irremovibili» (Pellegrino, p. 157). In secondo luogo la mancanza di centralità in Italia del filone in cui Lecaldano si inscrive, non semplicemente in riferimento alla ben nota prevalenza della cultura idealista e neoidealista nel nostro paese, ma anche in riferimento a tradizioni anti-idealiste che nella seconda metà del Novecento hanno goduto in Italia di discreto successo: «Voglio osservare che l’asse scozzese sia particolarmente invisibile nella discussione italiana. Il liberalismo italiano, nella linea difesa ad esempio da Bobbio, non considera affatto questa tradizione. Il liberalismo rawlsiano, che ha arricchito la cultura filosofica italiana negli ultimi decenni, è ugualmente concepito lungo l’asse contrattualista» (Donatelli, p. 28).
Come accennato precedentemente, nel volume si possono trovare anche utilissime ricognizioni monografiche, che ci consegnano attendibili vedute d’insieme su Lecalano e un singolo tema. Ad esempio, a proposito della differenza sessuale, Botti sintetizza così il femminismo di Lecaldano: «Tenderei dunque a sostenere che non solo Lecaldano riconosca un primato alle donne nelle scelte riproduttive, ma che lo faccia sulla base della rilevanza di una serie di diverse esperienze che, almeno per ora, caratterizzano il loro vissuto e che non si può avere la presunzione di poter pienamente immaginare» (p. 114). Sulla scienza poi, si può individuare, grazie al lavoro di Balistreri, un’altra caratteristica peculiare di Lecaldano, che lo allontana ulteriormente da una parte della cultura filosofica italiana: egli «appartiene a quella schiera di pensatori che non accetta quella che è stata rappresentata come la contrapposizione tra le due culture: quella scientifica e quella umanistica» (p. 130).
Il saggio di Mori, il più tecnico della prima parte del volume, è un tentativo di argomentare in favore del ruolo della ragione in etica, partendo da premesse che Lecaldano condividerebbe e usando uno sfondo a lui familiare, ma ovviamente giungendo a conclusioni lontane dal suo sentimentalismo. Analoghi, per certi versi, al lavoro di Mori sono tre saggi bioetici del volume, quelli di Demetrio Neri (La dignità della vita umana nella bioetica di Eugenio Lecaldano), Giovanni Fornero (“Etsi Deus non daretur”, laicità e bioetica: da Scarpelli a Lecaldano) e Sergio Bartolomei (La donazione d’organo tra utilità e virtù). Il primo effettua una ricognizione delle posizioni espresse nel corso del tempo da Lecaldano sul controverso concetto di dignità e le sottopone ad analisi; il secondo inserisce il pensiero di Lecaldano nel filone della cultura laica italiana e sottopone a critica alcuni concetti espressi da Lecaldano, in particolare nel suo fortunato volume Un’etica senza Dio; il terzo argomenta in favore della compravendita di organi umani, confrontandosi costantemente con le opposte posizioni espresse da Lecaldano sull’argomento. I contributi di Carlo Flamigni (Il comitato nazionale per la bioetica. Un ricordo) e Emilio D’Orazio (Dalla teoria morale all’etica applicata. Eugenio Lecaldano collaboratore di Politeia) sono invece più strettamente biografici (in particolare quello di Flamigni, che fece parte con Lecaldano del primo Comitato nazionale per la Bioetica nel 1990) e ci consegnano (in particolare quello di D’Orazio, direttore del centro per la ricerca e la formazione Politeia) uno spaccato di storia della cultura morale italiana degli ultimi 20-25 anni, in cui Lecaldano ha ricoperto un ruolo di primo piano.
Il Lecaldano bioeticista è certamente il Lecaldano più in sintonia con la cultura italiana, per varie ragioni. In primis perché, prima dell’uscita del suo volume Un’etica senza Dio, la sua notorietà al di fuori degli ambienti accademici era legata principalmente a questa disciplina, di cui è uno dei più autorevoli studiosi in questo paese, se non il più autorevole (vanno ricordati almeno il suo Dizionario di bioetica e il suo fortunato volume Bioetica. Le scelte morali) . In secondo luogo, perché – anche se egli stesso e altri studiosi laici di bioetica si lamentano dell’enorme peso della Chiesa Cattolica nella politica italiana – la parte colta del paese, quella che legge libri e giornali (è stimata da studi attendibili in meno di tre milioni di persone) è in buona parte simpatetica con le sue posizioni in bioetica e dunque lo si può considerare un portavoce di una tradizione italiana (all’opposto della sua etica sentimentalistica, come si è visto precedentemente). Infine perché le posizioni liberali che Lecaldano difende in bioetica sono condivise anche da colleghi di orientamento metaetico lontano dal suo, nonché da studiosi provenienti da culture lontanissime e, dunque, rappresentano a buon diritto un’importante fetta della cultura accademica italiana. Per quanto riguarda la bioetica nell’intero volume, al di là degli specifici temi affrontati in singoli contributi, i concetti che emergono in più saggi sono tendenzialmente di ordine generale, come l’individualismo etico e il principio di autonomia, che portano Lecaldano a difendere le posizioni liberali classiche in bioetica, da cui sembra allontanarsi in parte solo per via di quella che Bartolomei definisce la sua “etica perfezionistica del carattere” (p. 237), che ad esempio lo porta a considerare accettabile solamente la donazione di organi e mai la loro compravendita, tanto in un mercato capitalistico quanto in un ipotetico mercato monopsonistico affidato allo Stato. Come si può vedere, torna nuovamente in scena l’utilitarismo delle virtù che caratterizza la filosofia morale di Lecaldano.
La seconda parte del volume è meno omogenea della prima, tuttavia può essere ugualmente considerata caratterizzata dai tre macro-temi lecaldaniani visti precedentemente; solamente che tali tematiche vengono intese in un senso più ampio. Così, restando alla bioetica, si possono leggere Qualche osservazione su etica e fede di Francesco Saverio Trincia e Tantalo e Cassandra. L’eugenetica pragmatistica di F.S.C. Schiller di Antonello La Vergata. Nel primo, traendo spunto dal pensiero di Weber, Husserl, Freud e Leo Strauss, Trincia ipotizza la realizzabilità di una qualche forma di reciproca permeabilità tra etica razionale e fede, pur rimanendo dentro un perimetro teorico rigorosamente laico. La Vergata ricostruisce le posizioni eugenetiche estreme di F.S.C. Schiller, che nei primi decenni del Novecento propose teorie che oggi ci paiono agghiaccianti, ma che prima della seconda guerra mondiale erano normalmente discusse nei libri e nelle aule universitarie occidentali (e, aggiungiamo noi, applicate da alcuni legislatori occidentali).
I temi storico-filosofici cari a Lecaldano trovano in questa seconda parte maggior spazio, grazie ai contributi di Emanuela Scribano (Hume, lo scetticismo e la storia della filosofia), Pierpaolo Marrone (Hume e il piacere dell’utilità), Carlo Borghero (Condorcet “teologo”: anticlericalismo e lumi) e Sergio Bucchi (L’associazionismo rivisitato. J.S. Mill dalla poesia alla morale). Il saggio di Marrone è quello più teorico e si occupa (collocandosi «nella linea che Lecaldano ha contribuito a tracciare», p.379) del pensiero di Hume con particolare riferimento al suo possibile protoutilitarismo. Il contributo di Borghero è storiograficamente ricchissimo e fa respirare al lettore l’aria del secolo dei lumi. Bucchi sceglie una strada intermedia rispetto a Marrone e Borghero e compie una ricostruzione storiografica accompagnata da un interesse teorico per il percorso biografico-filosofico di Mill, che come noto ebbe una straordinaria ricchezza di fonti e interessi, diversificati in parte dalle stagioni della propria esistenza. Emanuela Scribano, poi, compie il maggior sforzo di dialogo con le posizioni di Lecaldano, confrontandosi con lui, da storica della filosofia, su due questioni humeane: l’influsso di Spinoza sullo scozzese e la componente scettica del pensiero di Hume.
Un po’ fuori dai tre assi portanti del volume è il saggio di Giovanni Mari, Riabilitazione dell’ozio (e del lavoro), che omaggia l’interesse di Lecaldano per il tema del lavoro, come ricordato nella prefazione dai curatori. Mari ricostruisce alcune fasi storiche differenti del concetto di ozio, partendo dall’antichità classica, passando per la fase cristiana e poi per quella moderna, arriva all’ozio nell’età industriale; infine propone un concetto di ozio per l’età post-industriale (più precisamente – se capiamo il senso del discorso dell’autore che però non usa questa espressione – post-fordista), che si confronta con i precedenti e si delinea alla luce delle profonde trasformazioni che la società contemporanea ha vissuto.
L’etica di Lecaldano è omaggiata dal saggio di Salvatore Veca (Il problema del valore e l’idea di incompletezza) e da quelli piuttosto tecnici di Giuliano Pontara (Relativismi meta-etici: considerazioni sparse) e Tito Magri (Una riformulazione dell’internalismo: deliberazione e senso pratico). Veca propone un contributo sul tema a lui caro dell’incompletezza, scrivendo un piccolo manifesto di antiplatonismo filosofico-politico, sintetizzabile in questa sua sentenza: «quello di “società perfetta” non è un termine appropriato al nostro lessico civile, se accettiamo l’elogio dell’imperfezione» (p. 286). Il sofisticato, ricco e profondo saggio di Pontara svolge differenti funzioni: chiarisce e distingue, con il linguaggio della filosofia analitica, differenti tipi di relativismi, operando preziose distinzioni teoriche anche tra altre categorie, come quella, fondamentale e spesso sottovalutata, tra nichilismo metaetico e scetticismo etico; mostra la fecondità di un approccio alla filosofia che indaghi il tema delle divergenze e convergenze in etica sia con gli strumenti della metaetica analitica, sia con i contributi dell’antropologia; elenca moltissime declinazioni della cosiddetta “regola aurea” presenti in culture lontanissime e spesso mai venute e a contatto, che possono dar man forte alla tesi che sostiene l’esistenza di un “grammatica morale profonda”; propone un anti-relativismo metaetico non estremo, ma più solido di altri, proprio in virtù del fatto che scaturisce da una analisi del relativismo “preso sul serio”. Il lungo e articolato saggio di Magri propone una sofisticata revisione dell’internalismo, volta a superare talune debolezze che ai suoi occhi l’internalismo può presentare in molte sue versioni; Magri separa il pensiero pratico dalla deliberazione, ma a differenza di Lecaldano rifiuta di occupare lo spazio di pensiero pratico non riducibile alla deliberazione con una componente sentimentale.
In questa seconda parte sono principalmente i saggi storico-filosofici a fornire indicazioni sul rapporto tra Lecaldano e il contesto filosofico italiano. Come ricordato anche nella prima parte, Lecaldano ha ricoperto e ricopre un ruolo significativo nella diffusione delle idee del filone di pensiero riconducibile a Hume, Bentham e J.S. Mill. In particolare, ci ricorda Bucchi, Lecaldano si è dovuto scontrare con “una pregiudiziale antiutilitaristica” presente nel senso comune morale italiano e ha dovuto combattere i pregiudizi sulla coerenza teorica del progetto filosofico di Mill, che in Italia era stato spesso sganciato dalla tradizione utilitaristica oppure considerato contraddittorio a causa della sua contemporanea adesione ai principi liberali e utilitaristi; «contro queste interpretazioni riduttive, che hanno avuto corso fino ad anni a noi vicini, e non solo nel nostro paese, la lettura che proponeva Lecaldano degli scritti etici di Mill mirava a rivendicare in primo luogo la coerenza teorica di un approccio definito senza riserve come “utilitarismo liberale”» (pp. 438-439). All’inizio del proprio saggio, Emanuela Scribano ricorda una polemica che vide protagonista Lecaldano con Luigi Turco, che all’uscita della nota monografia lecaldaniana su Hume (Hume e la nascita dell’etica contemporanea, 1991) sottopose a critica lo scarso peso in quel volume dedicato alle fonti humeane ed in particolare all’influsso di Malabranche; la risposta di Lecaldano, ci ricorda Scribano, fu la critica di quelle storiografie che, dedicando eccessivo peso alle fonti, rischiano di «ridurre il filosofo oggetto di indagine a una sbriciolatura di idee prive di una identità forte» (p. 364).
La miglior sintesi complessiva del volume e del suo senso l’hanno operata Donatelli e Mori nella premessa, scrivendo: «Nel complesso ci sembra che la ricchezza del volume delinei bene, anche attraverso approfondimenti critici, lo spessore e la solidità dell’impegno filosofico e civile di Lecaldano, sempre pronto a far interagire la riflessione filosofica sull’etica con altre discipline, con le scienze, con i saperi storici e l’immaginazione letteraria. Lecaldano emerge come la figura più rappresentativa nel nostro paese ad aver individuato in questo raggio ampio di questioni, e nella necessità di non eluderne alcuna, il luogo dell’etica filosofica. E’ anche la persona che molto ha fatto per far crescere questa prospettiva dando ad essa maggiore visibilità di quanto avesse avuto in precedenza nella cultura filosofica italiana» (p. 8).



PUBBLICATO IL : 31-12-2010

 

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