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Pietro Rossi, Carlo Augusto Viano (a cura di), Le cittą filosofiche. Per una geografia della cultura filosofica italiana del Novecento , Il Mulino, 2004
di Federica Buongiorno

Le città filosofiche – a cura di Pietro Rossi, professore ordinario di Filosofia della Storia all’Università di Torino e direttore responsabile della ‹‹Rivista di filosofia››, e di Carlo Augusto Viano, professore ordinario di Storia della Filosofia presso la stessa Università e membro della direzione della ‹‹Rivista di filosofia›› – raccoglie nove relazioni ad opera di autorevoli esponenti di alcune tra le principali facoltà filosofiche italiane, tenute in occasione del convegno ‹‹Per una geografia della cultura filosofica italiana del Novecento››, svoltosi a Torino tra il 2 e il 4 dicembre 1998 ed organizzato dall’Accademia delle Scienze di Torino in collaborazione con il Dipartimento di discipline filosofiche dell’Università.

Come ricordano i due curatori nell’Introduzione, il convegno mirava a ricostruire gli indirizzi filosofici affermatisi nelle varie sedi universitarie prese in considerazione (si tratta delle facoltà filosofiche di Torino, Milano Statale e Cattolica, Padova, Genova, Bologna, Pisa e Firenze, Roma e infine Napoli) nel periodo compreso all’incirca tra gli anni del Fascismo la fine degli anni Sessanta, sottolineando come le varie scuole filosofiche si siano costituite nelle loro specificità da un lato in stretta connessione con il contesto culturale urbano di riferimento e dall’altro in sostanziale contrapposizione con la filosofia idealistica di matrice hegeliana che, attraverso i pensieri di Croce e Gentile, aveva ampiamente permeato la cultura accademica italiana imponendo il proprio programma filosofico. I vari saggi mettono in luce questa dinamica evidenziando come nei decenni centrali del XX secolo si sia prodotta una tensione tra il programma filosofico nazionale improntato all’idealismo e gli orientamenti filosofico- culturali delle realtà accademiche locali, per l’affermazione dei quali sono stati determinanti sia le tradizioni preesistenti nelle varie facoltà, sia i modi di questa reazione all’idealismo. L’attenzione è pertanto rivolta essenzialmente al contesto culturale delle varie città e facoltà ed alla loro specificità filosofica: essi testimoniano che, nonostante il programma filosofico unitario imposto dall’idealismo, la filosofia trovava nelle varie università articolazioni diverse e ben radicate, che non si riducevano al solo idealismo.

In questa prospettiva viene evidenziato il ruolo svolto a Torino dall’esistenzialismo teorizzato da Nicola Abbagnano, dagli studi di Norberto Bobbio sul pensiero di Hans Kelsen, dalla critica parallela ad esistenzialismo e marxismo realizzata da Augusto Del Noce, di contro ad esempio all’indirizzo idealistico di Augusto Guzzo e alla sua versione dell’attualismo gentiliano. All’Università Statale di Milano si creò attorno ad Antonio Banfi una scuola filosofica sostanzialmente impermeabile all’idealismo crociano e gentiliano ma anche all’esistenzialismo, mentre Mario Dal Pra concentrava la sua attenzione sulla cosiddetta ‹‹questione storiografica›› ed Enzo Paci forniva una propria interpretazione del marxismo, mediata dalla fenomenologia husserliana.
Nell’altra facoltà filosofica milanese, appartenente all’Università Cattolica, si proponeva un programma ispirato allo studio della Scolastica e delle scienze sperimentali in funzione di una forte istanza di ‹‹realismo cristiano››, in netta opposizione all’indirizzo idealistico; si approfondiva inoltre il pensiero di Edmund Husserl, come attestato dal lavoro di Sofia Vanni Rovighi, e si valorizzava l’importanza della metafisica attraverso il recupero della filosofia Scolastica e del tomismo, come risulta dall’operato di Gustavo Bontadini e della stessa Vanni Rovighi.
Il volume evidenzia come a Padova fosse presente una forte tradizione positivistica grazie all’insegnamento di Roberto Ardigò, ma anche come questo indirizzo sia stato progressivamente messo in crisi dall’insegnamento di professori non più positivisti come Erminio Troilo, promotore dello studio sistematico di Aristotele a Padova, e di Norberto Bobbio, dal 1940 professore di Filosofia del diritto. Il primo docente di formazione idealistica, Luigi Stefanini, arrivò a Padova nel 1936: egli si dichiarava però un ‹‹idealista cristiano›› e più che a Gentile guardava all’agostinismo e allo spiritualismo cristiano.
Pluralità di interessi filosofici si riscontrava anche a Genova, dove l’anti- idealismo trovò espressione nell’attività di Giuseppe Rensi (la cui elaborazione fu però giudicata da molti come una sorta di manifesto ideologico del Fascismo), mentre Adelchi Baratono si dedicò prevalentemente agli studi di estetica e Michele Federico Sciacca attuò un recupero del pensiero di Rosmini, in polemica con Gentile.
Polemica con Gentile vi fu anche a Bologna, in occasione del Congresso internazionale di filosofia presieduto nel 1911 da Federigo Enriques, intellettuale attento al rapporto tra filosofia e scienza, i cui esiti furono sostanzialmente criticati dallo stesso Gentile ma anche da Benedetto Croce. A Bologna insegnò anche, a partire dal 1913, Rodolfo Mondolfo, che vi portò l’interesse per il positivismo e per il pensiero di Comte, in contrapposizione al disprezzo idealistico per ogni tipo di ricerca scientifica naturale; una prospettiva condivisa anche da Giuseppe Tarozzi. Da parte sua Felice Battaglia, professore a Bologna dal 1939 e successivamente preside della facoltà di Lettere e Filosofia, si opponeva all’idealismo contestando la concezione attualistica della storia, mentre Giuseppe Saitta (allievo di Gentile a Palermo) connotò il suo insegnamento in senso idealistico, seppur tentando una valorizzazione dell’Umanesimo in senso immanentistico.
Nel saggio dedicato alle facoltà filosofiche di Pisa e Firenze si evidenzia innanzi tutto la diversa temperie culturale delle due città: a Pisa fu molto forte ed insistita l’influenza esercitata da Gentile, che diresse la Scuola Normale Superiore ed ebbe una cerchia di allievi di particolare rilievo come Armando Carlini, Guido Calogero ed Enrico Chiavacci, i quali assunsero a loro volta degli incarichi nella locale Università. Con la fine della guerra e del Fascismo la situazione cominciò a mutare e si sviluppò una pluralità d’interessi filosofici che andavano dallo studio del marxismo all’approfondimento del pensiero di Kant (di cui si occupò Luigi Scaravelli) e di Nietzsche (studiato da Giorgio Colli). A Firenze, dove l’influenza di Gentile fu meno diretta, vi fu sin dall’inizio un clima più aperto: Felice Tocco studiò la filosofia kantiana da una prospettiva fortemente anti- idealistica, Ludovico Limentani, di formazione positivistica, approfondì soprattutto il pensiero di Adam Smith e di Giordano Bruno, mentre Giulio Preti rappresentò a Firenze una figura d’intellettuale dai molteplici interessi filosofici (studiò tra gli altri Leibniz e Adam Smith) ma sostanzialmente defilata nella cornice accademica fiorentina, della quale fu esponente più rappresentativo Eugenio Garin, formatosi sui testi di Kant e di Hume e profondo conoscitore del pensiero di Croce e di Gentile, di cui rilevò l’essenziale influenza e rilevanza per la vita filosofica e culturale italiana nel suo complesso. Tra Pisa e Firenze insegnò a lungo Cesare Luporini, che si occupò soprattutto di Hegel e Kant, e a Pisa si formò anche Delio Cantimori, poi divenuto professore di Storia moderna a Firenze.
Il saggio dedicato all’ambiente filosofico romano sottolinea come il clima culturale nella Capitale sia stato profondamente influenzato dalla figura di Giovanni Gentile, chiamato da Pisa a ricoprire la cattedra di Storia della filosofia nel 1917 e fulcro di una scuola che vide tra i principali allievi, poi distaccatisi in varie forme dalle posizioni del maestro, Ugo Spirito e Guido Calogero, a loro volta divenuti professori a Roma. Questa fu anche un centro di studi sullo storicismo, grazie all’insegnamento dapprima di Guido De Ruggiero e poi di Carlo Antoni, ed un polo di riflessioni sul marxismo, soprattutto attraverso gli studi di Galvano Della Volpe e di Lucio Colletti.
Il volume si conclude con un saggio sulla cultura filosofica a Napoli, dove ebbe fondamentale influenza il pensiero di Benedetto Croce, ripreso da Adolfo Omodeo in funzione del suo ‹‹storicismo etico›› e originariamente anche da Ernesto De Martino, poi concentratosi su un innovativo campo di ricerche etnico- storiche. Fondamentale nel panorama accademico napoletano fu, oltre al ruolo svolto dall’Isituto Italiano per gli Studi storici, la figura di Antonio Aliotta, le cui ricerche hanno rappresentato un terreno alternativo rispetto all’idealismo e hanno dato origine ad una importante scuola all’interno dell’Università napoletana, tra i cui allievi figuravano Paolo Filiasi Carcano e Aldo Masullo. A Napoli operarono anche Pietro Piovani, studioso delle relazioni sussistenti tra etica e storia, e Fulvio Tessitore, studioso, tra gli altri, di von Humboldt, Dilthey, Weber e dello storicismo crociano, di cui fornì un proprio ripensamento.

PUBBLICATO IL : 24-07-2006
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