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Amedeo Vigorelli, La nostra inquietudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini , Bruno Mondadori, 2007
di Claudia Melica

La monografia La nostra inquietudine di Amedeo Vigorelli,pubblicata per i tipi di Bruno Mondadori nel 2007, completa una trilogia di lavori dedicati alla cosiddetta “Scuola di Milano”. I precedenti studi specifici di Vigorelli avevano riguardato L’esistenzialismo di Enzo Paci (Bruno Mondadori, Milano 1987) e Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato (Bruno Mondadori, Milano 1998). L’Autore del volume, che vanta una solida preparazione non solo su Piero Martinetti ed Enzo Paci ma anche su altri filosofi italiani facenti parte della “Scuola di Milano”, forte di una consolidata esperienza di studioso, può offrire un’ampia raccolta di saggi sia inediti sia già editi. La monografia non presenta una raccolta di “ritratti” di personalità filosofiche dell’università milanese estrinsecamente legati tra loro in quest’occasione, essa invece fornisce, all’interno di un contesto storico complesso, un insieme unitario costituito da un «invisibile» filo conduttore: l’inquietudine religiosa. Come chiarisce l’Autore nell’Introduzione, con «inquietudine religiosa» si deve intendere una «religiosità laica e anticonfessionale» (p. VIII) volta ad un rinnovamento spirituale e capace di accomunare diversi esponenti della cultura milanese antifascista. Per questo motivo, l’idealismo religioso di  Piero Martinetti (1872-1943) è indicato da Vigorelli come il comune punto di riferimento morale e teoretico di tale cultura. L’arco temporale nel quale si collocano le diverse personalità di siffatta “Scuola” è piuttosto ampio e ha ai suoi estremi ideali, da un lato, la crisi storica degli anni Trenta e, dall’altro, quella finale degli anni Sessanta.
Nell’originale ricostruzione storiografica proposta da Vigorelli, tra  i due estremi si trovano due saggi dedicati al pensiero di Piero Martinetti. Il primo propone i contrastanti profili tratteggiati da due allievi di Piero Martinetti: Antonio Banfi e Clemente Rebora. Come precisa l’Autore nell’Introduzione, il «materiale documentario», offerto al lettore per rileggere la «storia morale» del Novecento italiano, prende l’avvio dalle «prime tracce di un “martinettismo milanese”, nella stagione dell’Accademia scientifico-letteraria, che ha preceduto la nascita vera e propria dell’Università degli Studi di Milano» (ibidem). Lo scopo di Vigorelli è quello di mettere in luce, in un contesto etico-politico lacerato dalla guerra, la diversa «impronta morale» lasciata dall’insegnamento di Martinetti nei due “discepoli”. Nel momento in cui Antonio Banfi (1886-1957) tentava di precisare la sua posizione politica e maturava un distacco dall’entrata in guerra dell’Italia, emergevano tracce di “martinettismo” nel suo «richiamo morale» a Tolstoj che assumeva la forma di un rinvio alla sua «esperienza religiosa e umana» (p. 13). Nel poeta Clemente Rebora (1885-1957), invece, la lezione martinettiana si trasforma in una speciale forma di «mazzinianesimo» e approda ad una comune critica al Risorgimento italiano (cfr. pp. 17-19). Il secondo saggio, collocato nella parte conclusiva del volume, immagina una sorta di «dialogo postumo» tra Martinetti e Aldo Capitini (1899-1968), due esempi di «inquietudine laica» (p. XII). Dopo aver messo qui a confronto i due filosofi su temi etico-religiosi e aver constatato la loro comune «avversione morale e politica al fascismo» (p. 175), se ne mette in risalto la condivisione di una religiosità laica che sfocia nella morale.
Dei dieci saggi contenuti in questa monografia ben tre sono dedicati al filosofo Enzo Paci (1911-1976), del quale Vigorelli ha curato anche le Opere (Bompiani, Milano 1988). In questi tre lavori egli ha modo di approfondire il pensiero di Paci nel suo complesso. In primo luogo, egli dedica un’indagine (pp. 53-61) alle prime esperienze giovanili di Remo Cantoni (1914-1978) ed Enzo Paci con l’esistenzialismo confrontandole con quelle dello storicismo di Ernesto De Martino (1908-1965). Il dibattito inauguratosi, inizialmente, tra Cantoni e De Martino a partire dalla pubblicazione, nel 1941, di due testi coevi ­– Il pensiero dei primitivi di Cantoni e Naturalismo e storicismo nell’etnologia di De Martino – investe: il dissimile modo di concepire il contraddittorio legame tra “natura” e  “cultura”; la diversità dei metodi e la contrapposta ricezione dello storicismo crociano; l’opposta maniera di richiamarsi a Vico. Tale discussione si protrarrà sino alla fine degli anni Cinquanta e Paci vi contribuirà rileggendo in modo “esistenzialistico” sia Vico sia Croce. Paci, inoltre, proporrà un’analisi dettagliata, in un paragrafo del suo testo Il nulla e il problema dell’uomo (Taylor, Torino 1959), di alcuni concetti di un altro libro fondamentale di De Martino, Il mondo magico (Einaudi, Torino 1948).
In secondo luogo, Vigorelli dedica a Paci un altro saggio (pp. 115-140) nel quale, eludendo gli stereotipi storiografici e le polemiche ideologiche sul rapporto tra fascismo e filosofia o tra potere e intellettuali, evidenzia i diversi livelli della personalità di Paci e le due opposte «stagioni» del suo «impegno» come intellettuale. è, perciò, approfondito il compito che egli assegnava alla cultura nei due differenti periodi storici (durante il fascismo e dopo la caduta del fascismo) e il valore del lavoro filosofico.
In terzo luogo, l’ultimo saggio di Vigorelli (pp. 157-171) è rivolto a studiare gli ultimi anni della speculazione filosofica di Enzo Paci che approda, negli anni Sessanta, al materialismo di Marx dopo un intenso periodo di studi dedicato alla fenomenologia di Husserl.
Ampio spazio è inoltre dedicato da Vigorelli, con altri tre saggi, al maestro di Paci, Antonio Banfi e in particolare al suo «diverso approdo» a Marx (p. XI), alla sua apertura all’esistenzialismo di Kierkegaard (pp. 29-51) e alla sua interpretazione di Galilei (pp. 141-156). In questa rilettura del razionalismo critico di Antonio Banfi emerge come, nonostante Martinetti fosse stato uno dei suo maestri (e non “il maestro”, come egli amava ribadire), il suo concetto di «ragione funzionale e non metafisica» si differenzi «sin dall’origine» da quello del filosofo canavesano (p. 152). La disamina proposta da Vigorelli consente, allora, di rivedere l’unicità del ruolo assegnato a Banfi a partire dal quale si originò la “Scuola di Milano”, poiché alla costituzione di una tendenza filosofica banfiana va, a suo giudizio, affiancata senza dubbio anche una martinettiana.
Il quadro della  “Scuola di Milano” proposto da Vigorelli procede oltre l’orizzonte del “banfismo” (p. X) e del razionalismo varcando i confini milanesi ed includendo altri personaggi antifascisti come Mario dal Pra (1914-1992), Umberto Segre (1908-1969) e Mario Untersteiner (1899-1981). Quest’ultimo, allievo di quel Giuseppe Rensi (1871-1941) che pur avendo operato a Genova tanto influenzò nel dopoguerra l’università milanese, introdusse motivi teoretici facenti capo allo scetticismo, «innestando» così «un ulteriore motivo di “inquietudine” nella matrice teorica milanese» (p. X).
Va riconosciuto, in conclusione, il valore della ricerca di Vigorelli che permette di ricostruire le molteplici vicende di una parte della storia filosofica italiana del Novecento. Proponendo quest’articolata “cronaca” attraverso l’analisi del pensiero di diversi filosofi italiani, disposti cronologicamente in un ampio periodo di tempo carico di feconde contraddizioni e segnato dal conflitto bellico, l’Autore ha saputo imprimere alla narrazione distaccato equilibrio e intelligente sapienza. Due ingredienti quest’ultimi che qualificano la riuscita dell’opera e rendono possibile una trasmissione non faziosa del patrimonio della nostra cultura più recente.

PUBBLICATO IL : 13-04-2010
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