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La lettura hegeliana del "Parmenide" nelle interpretazioni italiane degli ultimi cinquant'anni
di Adalberto Coltelluccio

Sommario: Ancora oggi, a distanza di ventiquattro secoli, non possiamo non dire che tutti i più profondi segreti della metafisica siano custoditi, come in un prezioso scrigno, all'interno del Parmenide. In questo enigmatico dialogo è racchiuso non solo il nucleo fondante delle Protologie di tutti i tempi, ma anche la struttura essenziale della dialettica. Se ne accorse Hegel, il quale denominò il Parmenide «la più grande opera d'arte della dialettica antica». In questo saggio viene offerta una ricognizione delle interpretazioni che alcuni studiosi italiani hanno compiuto della lettura hegeliana del Parmenide platonico, negli ultimi cinquant'anni: dopo aver ricostruito le linee essenziali del dibattito, l’Autore fornisce la sua chiave interpretativa.
Indice: 1. Introduzione: l'elogio hegeliano del Parmenide, p. 2; 2. Una dialettica “non interamente pura”, p. 5; 3. Lo scetticismo del Parmenide, p. 7; 4. Contraddizione e non-contraddizione nel Sofista e nel Parmenide, p. 11;5. Anairein e Aufheben, p. 13;6. L'uso speculativo dei cinque tropi nel Parmenide, p. 16; 7. Tropi e contraddittorietà dello spirito, p. 19;8. Il thaumàzein autentico: l'unità dell'Uno e dei Molti, p. 20;9. Il lato positivo implicito nel Parmenide, p. 23;10. Excursus. Deduzione speculativa e deduzione paradossale del molteplice, p. 27;10.1. Nel Parmenide, p. 27; 10.2. In Proclo, p. 32;10.3. In Damascio, p. 33;11. Conclusione: la 'narcotizzazione' del negativo in Hegel, p. 35.
Prima pagina:

1. Introduzione: l'elogio hegeliano del Parmenide.

       Ancora oggi, a distanza di ventiquattro secoli, non possiamo non dire che tutti i più profondi segreti della metafisica siano custoditi, come in un prezioso scrigno, all'interno del Parmenide. In questo enigmatico dialogo è racchiuso non solo il nucleo fondante delle Protologie di tutti i tempi, ma anche la struttura essenziale della dialettica. Se ne accorse Hegel, il quale denominò il Parmenide «la più grande opera d'arte della dialettica antica». Il filosofo tedesco vide, infatti, in esso propriamente un'opera di dialettica e non di speculazione. Ciò che, però, offre più di uno spunto per proporre una rilettura critica dell'interpretazione hegeliana del Parmenide, è il fatto che essa sia comunque una interpretazione prevalentemente speculativa. L'idea di fondo che guida il presente scritto è che, nonostante la valutazione hegeliana esalti peculiari caratteristiche “scettico-negative” del Parmenide, essa ne legge la loro funzione in chiave appunto speculativa. E' possibile, tuttavia, fornire un'interpretazione non speculativa bensì dialettico-aporetica del dialogo platonico, sulla base del fatto che la deduzione hegeliana del determinato e del molteplice, come cercherò di mostrare in seguito, differisce sostanzialmente da quella platonica messa in atto nel Parmenide. Mentre il primo tipo di deduzione è fondato su una mediazione contraddittoria ma non paradossale, il secondo mantiene, invece, un legame inscindibile con il paradosso e appare necessariamente votato all'aporia. La stessa lettura hegeliana del Parmenide, in questo modo, cela in sé una prospettiva ermeneutica duplice, “dialettica” e “speculativa” al tempo stesso, ma che può essere diversamente declinata a seconda del differente peso dato ad uno o all'altro dei due lati. Una declinazione speculativa, come lo stesso Hegel la intende, mira essenzialmente alla “compiutezza” del processo di sviluppo del Concetto, dando risalto all'esito positivo-razionale del suo movimento; una declinazione dialettica, invece, o più precisamente dialettico-aporetica, mira a salvaguardare quello che per Hegel è il momento negativo in sé, e che secondo il suo stesso modo di vedere coincide con lo scetticismo. In ogni caso, una prospettiva come quella puramente dialettica non può non tener conto del carattere di “inconclusività” e addirittura di aporia, che certi dialoghi platonici, primo fra tutti il Parmenide, presentano. La nostra convinzione è che, malgrado la considerevole esaltazione degli aspetti dialettico-negativi (e, secondo le stesse parole di Hegel, persino scettici), contenuti nel Parmenide, l'interpretazione hegeliana rimanga ancorata fondamentalmente all’impostazione speculativa. Da ciò risulterebbe quella funzione che denominerei “narcotizzata” del negativo, vale a dire indebolita e destinata a convertirlo in positivo, sia nella dialettica di Hegel che nella sua stessa lettura del Parmenide

      A partire da questo assunto, mi soffermerò specificamente sulle interpretazioni che alcuni studiosi italiani hanno compiuto della lettura hegeliana del Parmenide platonico, negli ultimi cinquant'anni: dopo aver ricostruito le linee essenziali del dibattito, proverò a fornire una mia chiave interpretativa, che concluderà il lavoro. Anche le ricerche degli autori che prenderò in esame potrebbero rientrare, per un qualche loro aspetto, in una delle due prospettive sopra delineate, con una prevalenza di quella speculativa, la quale ha favorito l'imporsi dello stesso punto di vista hegeliano che tutto sommato scoraggia un ruolo troppo corrosivo e nichilistico del negativo. Questo perché, nonostante qualche rara voce “fuori dal coro”, gli studi hegeliani in Italia nel loro complesso sono stati segnati, a mio avviso, dalla tendenza, da un lato, a privilegiare il senso sistematico-razionale della dialettica di Hegel, piuttosto che il radicalismo del momento dialettico-negativo; e, dall'altro, a non accettare come autentica la sua messa in discussione del Principio di Non-Contraddizione.
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PUBBLICATO IL : 31-12-2010
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