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Teoria dell'azione morale nella "Tugendlehre" di Kant: due letture italiane
di Carmelo Alessio Meli

Sommario:

Questo contributo vuole porre l'attenzione su un problema della tarda filosofia morale kantiana che, recentemente, ha suscitato presso gli interpreti (italiani in particolare) un notevole interesse. Si tratta delle problematiche circa il concetto metafisico di Tugendpflicht nella sua collocazione sistematica e nel suo rapporto con una generale teoria dell'obbligazione razionale. I Metaphysische Anfangsgründe der Tugendlehre rappresentano l'esigenza che l'imperativo categorico stesso, nella sua definizione di principio formale universale, entri in una relazione profonda, una relazione che è deduzione, con la modalità generale secondo la quale nell'uomo si danno azioni morali. Ed è necessario, vista la notevole discordanza degli studiosi circa questo punto cruciale dell'etica kantiana, procedere ad un' analisi dettagliata del complesso lavoro del 1797.

Indice: 1. La Tugendlehre come morale applicativo-didattica, p. 3; 2. La Kultur e l’ingresso del finalismo nella teoria dell’azione morale concreta, p. 9; 3. Kultur ed Endzweck: la nuova posizione del soggetto morale, p. 11; 4. Il concetto di auto-costrizione nel paragrafo I della Tugendlehre, p. 14; 5. La legge e la materia: l’esemplificazione della coscienza, p. 17; 6. La deduzione dei fini che sono al tempo stesso doveri, p. 20; 7. Conclusioni, p. 21.
Prima pagina:

Ciò che risulta nuovo nella Tugendlehre kantiana, rispetto alle formulazioni dei lavori morali precedenti, sono quelle interne determinazioni e successive specificazioni dei doveri etici che vanno sotto le due categorie principali di doveri verso se stessi e doveri d’amore verso gli altri. La preoccupazione, in sede di una metafisica dei costumi, è quella della possibilità di un’azione morale che abbia come suo autore non semplicemente un essere razionale ma un uomo. È necessario, da questo punto di vista, esporre la modalità fondamentale attraverso la quale la legge formale universale possa concretamente diventare movente per l’arbitrio e pertanto, per questa ragione, la trattazione circa i doveri perfetti ed imperfetti verso sé stessi e gli altri occupa uno spazio considerevole nell’economia dell’opera kantiana; opera che, al contrario, dedica spazio molto minore alla discussione sulla interna possibilità di un’azione morale effettiva, cioè sulla determinazione morale in quanto tale come punto eminentemente critico di analisi interna della legge morale universale come legge per l’arbitrio. Sono soltanto gli altamente problematici paragrafi dell’Introduzione che presentano una discussione circa le premesse critiche che fondano la possibilità di un fine che sia allo stesso tempo dovere.
            Tuttavia, l’oscurità complessiva di queste pagine e la loro estrema stringatezza ha portato molti commentatori a considerarle semplicemente una tarda ripresa, in una forma d’altronde assai più confusa, delle dottrine esposte nella seconda critica.
            Ciò che vogliamo sostenere in questo lavoro è precisamente che una lettura di questo genere è senza dubbio quantomeno parziale e, in molti casi, addirittura fraintendente le autentiche preoccupazioni kantiane che emergono, peraltro con molta forza, nelle poche ma dense pagine dell’Introduzione, dove possiamo trovare quel filo conduttore assolutamente necessario per comprendere persino la possibilità stessa che si diano dei doveri particolari che coinvolgano non soltanto una determinazione formale della volontà ma una determinazione sotto la forma universale della finalità valida per l’arbitrio del soggetto morale, vale a dire dei doveri di virtù. Sotto questa prospettiva, è necessario – per una tassonomia etica dei doveri – una condizione essenzialmente filosofica. Una condizione che non è soddisfatta soltanto da ciò che la Critica della ragione pratica aveva stabilito (il darsi dell’imperativo categorico), ma che deve “arricchirsi”, nel suo proprio fatto di restare condizione formale, di un elemento materiale che possa esser letto come la possibilità generale ed universale affinché una materia possa essere inclusa nella massima buona; dell’elemento necessario della finalità come proprio della ragione stessa e non considerato come un addendum necessitato dalla particolare condizione dell’essere razionale e cioè dalla sua finitezza.
            Questi pochi accenni già presentano il grande tema di cui vogliamo occuparci in queste pagine; un tema altamente controverso ma - secondo la nostra opinione - della più grande importanza per capire fino in fondo quali siano gli oggetti teorici dell’ultimo Kant morale. Ci riferiamo alla possibilità della concreta attuazione della virtù; della messa in atto di azioni buone concretamente intese che, nella loro totalità, possano esprimere una generale tendenza verso il miglioramento.

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PUBBLICATO IL : 31-12-2010
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